La signorina Hofmann è sempre stata una vera cittadina svizzera, in ogni circostanza. Anche per questo, dice lei, è rimasta zitella, per non legarsi a nessuno. Anche, se per la verità, qualche cattiva lingua dice che a lasciarla neutrale ci hanno pensato i suoi pretesi pretendenti.
Quando spiega la storia non ci sono mai in guerra i buoni e i cattivi, ma solo i fortunati e gli sfortunati. Gli svizzeri sono sempre stati tra i fortunati, almeno da quando hanno ottenuto l’indipendenza, perché la guerra manco hanno dovuto vincerla. Semplicemente non l’hanno fatta perché erano neutrali.
La signorina Hofmann crede in Dio, anche perché Costui non ha veri antagonisti, ma dice di non appartenere a nessuna Chiesa (così come non appartiene a nessun marito).
La sua neutralità si vede anche in classe. Nonostante ci siano ormai anche in quel paese dell’Engadina bimbi di tutte le nazionalità, la maestra non dimostra di volere particolarmente bene a nessuno per non fare preferenze. Se fosse per lei non darebbe neanche i voti, ma visto che è costretta dal regolamento si attiene a un criterio assolutamente meritocratico. Comunque i voti vanno sempre dal 5 e mezzo al 6 meno meno.
La sua rigida neutralità è stata però messa alla prova. Da un anno aveva in classe una bambina, Natasha, figlia di un albergatore del posto e di una ex top model di Saratov. Ma da un mese erano arrivati anche due bimbi ucraini, Misha e Katya, ospiti con la loro mamma del parroco, sempre sensibile alla causa dell’accoglienza.
All’inizio alla signorina Hofmann questo inserimento non era sembrato problematico: parlavano la stessa lingua (anche gli ucraini normalmente si intendono fra loro in russo), erano della stessa religione (ortodossi). Anche per quanto riguarda l’età non c’era problema, perché Misha aveva la stessa età di Natasha, Katya solo un anno di meno.
Il fatto è che appena entrati in aula non c’era stato verso di metterli vicini. E a quei faziosi dei compagni non era parso vero di schierarsi dall’una o dall’altra parte.
La divisione era diventata un problema per tutti, anche se all’inizio era stata alimentata da quelli di origine serba (schierati per Natasha) contro quelli di origine bosniaca (a favore dei piccoli ucraini).
Per poco tempo era rimasta la naturale neutralità dei pochi svizzeri locali e degli africani, che di solito hanno già i loro problemi a cui pensare.
Non so se lo avete già capito, ma la classe della signorina Hofmann era molto simile alla nazionale di calcio svizzera, dove l’unico che cantava l’inno della Confederazione era l’aiuto massaggiatore.
“Maestra, lei per chi è? È per la Russia o per l’Ucraina?” “Io sono svizzera!” “Anche noi, ma…” e qui normalmente cominciava la rissa tra filorussi e filoucraini. Il direttore didattico non era di grande aiuto. Aveva minacciato tutti, pesantemente. L’unico risultato era stato che per qualche tempo si era aperto un nuovo fronte, contro di lui.
La situazione sembrava irrisolvibile. Proprio come a ben altro livello. Poi un giorno la signorina Hofmann incominciò a scoprire che al pomeriggio, a volte, Misha e Katya si trovavano a fare i compiti in una dependance dell’albergo del padre di Natasha, dove lavorava come cuoca la mamma degli ucraini (per questo erano arrivati in Engadina dopo diversi mesi passati vicino a Stoccarda).
Pare che all’inizio ci fosse molta freddezza tra i bambini, anche perché Natasha non era solo un po’ russa, ma era anche la figlia del padrone. Poi, poco a poco, era prevalso quel senso di solidarietà che nasce tra gente che è fuori dal proprio Paese.
Parlavano tutti la stessa lingua, che fino a quel momento Natasha aveva potuto usare solo con la propria mamma, e facevano gli stessi giochi tradizionali. Avevano molte altre cose in comune. Tra l’altro anche il desiderio che finisse presto la guerra, perché la mamma di Natasha era molto preoccupata per un fratello in attesa di mobilitazione.
Poi venne il Natale, il loro Natale, quello che si festeggia il 7 di gennaio. Per carità, sarebbe troppo dire che si ritrovarono insieme come fratelli, ma, senza accorgersi, poterono offrire un grande dono per la loro maestra. Farle capire che piuttosto che rimanere neutrali, forse fino alla tentazione di essere indifferenti, bisognava amarli, gli uni e gli altri, ciascuno per quello che era, secondo i bisogni che aveva.
Da quel giorno la signorina Hofmann smise di ignorare volutamente l’origine di tutti i suoi scolari e cominciò ad insegnare loro ad accettarsi per quello che erano e per la tradizione che le loro famiglie esprimevano. Così quella classe divenne non solo multietnica, ma anche universale.
Il problema è che adesso si devono celebrare molti diversi capodanni, molte varie feste nazionali … insomma quasi ogni giorno è festa. Sempre meglio così che festeggiare solo il primo di agosto (festa nazionale svizzera, ndr), che, tra l’altro, è un giorno che non c’è neanche la scuola.
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