Volevo intitolare questo pezzo: “Storie di donne dell’Ucraina”. Adesso vi spiego il perché. Giovedì, inaspettatamente, è venuta a trovarmi Sasha. Era qui in Italia di sfuggita, per motivi di lavoro. Ora fa la fotomodella. Otto giorni dopo l’inizio della guerra è arrivata con la zia, la cuginetta di nove anni e due ragazzi amici di famiglia da Kharkiv.
La loro casa era stata praticamente distrutta da uno dei primi missili arrivati dalla vicina Russia. Sasha mi ha detto che non poteva non passare da Milano per portare i saluti di tutti, visto come li avevamo accolti. Venerdì sera è arrivata una telefonata, questa attesa, da Natasha, la zia. Aveva appena ricevuto a Kiev il grande uovo di Pasqua, miracolosamente intatto, che avevo mandato e che Katarina, la figlia ormai undicenne, stava mostrando a tutti, compresa la nonna che ormai ha dovuto rifugiarsi a Kiev da Kharkiv che non voleva lasciare. Ormai là, pare, vivere, sopravvivere è diventato troppo pericoloso.
La nonna ringraziava ancora per quella volta che, essendo riuscita a venire a trovare Natasha e le nipoti, aveva avuto modo anche di realizzare un suo vecchio sogno: assistere ad un’opera alla Scala, stando in un palco che le aveva generosamente ceduto una famiglia di abbonati. Natasha, quando era qui, essendo titolare della cattedra di medicina interna all’università, aveva finito anche per curare molte delle ucraine fuggite con i figli e spesso in difficoltà nel comunicare con i medici italiani.
Inoltre la nostra (e loro) casa era diventata una specie di trattoria ucraina dove si condivideva il cibo preparato alla loro maniera, oltre al dolore e alla preoccupazione per quello che stava e sta accadendo. Quando se ne sono andate per amore del marito-papà e dei parenti che avevano lasciato là, hanno lasciato un certo vuoto. Certo, soprattutto Katarina, quando provava i suoi passi di danza o aveva crisi di pianto nel sentire certi rumori, non faceva mancare il segno sonoro della sua presenza.
L’altra settimana Sergei, il trasportatore che ha portato loro il mio pacco, non ha voluto neanche essere pagato. Sorridendo, lui che non è uno della Caritas, e che i trasporti “speciali” li fa di solito per denaro, sorridendo mi ha detto: “lo so, don, che queste cose sono per i nostri bambini”.
Perché vi ho raccontato questa storia personale? Perché pare che ora l’Ucraina stia chiedendo alle donne non più solo di occuparsi dei figli, dei ragazzini, magari all’estero. Infatti ora tanti mariti e fidanzati non ci sono più e servono nuovi militari da mandare al fronte, magari semplicemente per fare da bersaglio ai missili russi, per dimostrare che per ora si tengono le posizioni.
Certo qualche marito e soprattutto qualche fidanzato è ora anche sparito all’estero, ricercato come renitente alla leva, col problema, per gli “alleati” occidentali, di collaborare o meno in questa ricerca. Visto che dalla parte russa, nonostante la maggior riserva di uomini, le cose, almeno per le famiglie, non stanno andando meglio, non è forse venuto il momento di fare la pace, anche con qualche compromesso? Anche, se è necessario, facendosi da parte, perché l’orgoglio personale o nazionale non prevalga sul bene della nazione. L’Ucraina nella storia ha già patito in diverse sue parti molte occupazioni, e ha sempre dimostrato di essere capace, al momento giusto, di riottenere la sua indipendenza.
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