Strage di Bologna, in occasione dell’anniversario dell’attentato alla stazione del 2 agosto 1980, il quotidiano La Verità propone un’analisi delle sentenze, in controtendenza rispetto alla corrente di pensiero comune, fatta dal giornalista Massimiliano Mazzanti, autore del libro “Strage di Bologna,
sentenza Bellini: processo ai vivi per condannare i morti“, che ha ricostruito attraverso eventi e processi i fatti, ipotizzando scenari e colpevoli differenti da quelli accusati dai giudici. Nell’intervista Mazzanti afferme di avere numerosi dubbi in particolare sui mandanti e sugli esecutori materiali, riconosciuti negli esponenti del gruppo neofascista NAR, in quanto i verdetti si baserebbero soltanto su indizi, mentre sarebbero state tralasciate le indagini su altri soggetti, riconducibili ad altre organizzazioni terroristiche.



Il giornalista accusa anche i media di aver portato avanti fin dall’inizio un occultamento della verità proponendo già poche ore dopo della strage la tesi “sono stati i fascisti“. Anche sulla presunta presenza di coloro che sono stati condannati, per aver materialmente messo l’ordigno in stazione, e cioè Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Gilberto Cavallini, Luigi Ciavardini e Paolo Bellini non ci sarebbero prove significative, a partire dai testimoni, considerati inattendibili.



Strage di Bologna, le ipotesi alternative sui colpevoli di Massimiliano Mazzanti

Per il giornalista Massimiliano Mazzanti, ci sarebbero troppe incongruenze nelle sentenze emesse per la strage di Bologna, soprattutto per il fatto che sono state sfruttate dischiarazionie  testimonianze in favore di una tesi “forzata” per incolpare i fascisti. E i dubbi resterebbero molti anche per quanto riguarda il presunto mandante, identificato in Licio Gelli dopo il riscontro di un pagamento di circa un milione di dollari ai Nar. Per Mazzanti si tratta di “una delle bufale giudiziarie più gigantesche mia ascoltate. Per di più, rimodulata più volte, visto che non c’è una traccia seria di quel passaggio di denaro“.



Inoltre sarebbero state insabbiate piste differenti, che proponevano di indagare altri terroristi come ad esempio quelli legati al gruppo Carlos, non approfondendo la presenza di due donne con passaporti cileni, poi arrestate proprio per la vicinanza al noto eversore. Ma anche il fatto che il Pci non ha mai spiegato la relazione con Anzeh abu Saleh, il leader dell’Fronte popolare di liberazione palestinese, al quale è stata assicurata protezione pur avendo accertato che viveva a Bologna e che conosceva alcuni magistrati già prima della strage.