Interrogatorio di cinque ore per Andrea Girardin Gibin, capo cantiere della Sigifer di borgo Vercelli, uno dei due sopravvissuti alla strage di Brandizzo, avvenuta tra il 30 e 31 agosto scorsi e costato la vita a cinque operai. Accompagnato dal suo legale Massimo Mussato, è stato ascoltato nell’ufficio del pm Valentina Bossi che coordina l’inchiesta sul disastro ferroviario insieme alla collega Giulia Nicodemi e alla procuratrice Gabriella Viglione. «Non eravamo dei pazzi, quella sera Massa ci ha dato l’autorizzazione a cominciare i lavori e a scendere sui binari. Iniziare prima del disbrigo delle pratiche e dell’autorizzazione formale era una prassi abituale, non era una condizione così fiscale», le parole riportate da La Stampa.



Inoltre, ha confermato ai magistrati che Antonio Massa, il quale nega ogni addebito, parlando con lui quella notte, si è attribuito la responsabilità di quanto accaduto. Sopravvissuto e indagato col tecnico Rfi addetto alla scorta del cantiere, Massa è colui a cui viene ricondotta dal capo cantiere la decisione di iniziare a lavorare sui binari liberando la massicciata. Entrambi sono accusati di disastro ferroviario e omicidio con dolo eventuale. Non è indagata Vincenza Repaci, dirigente movimento Rfi di Chivasso, la quale ai pm di Ivrea ha confermato di «aver negato per ben tre volte il nulla osta a Massa».



“SOPRAVVISSUTO, MA HO UN DESTINO ATROCE”

Girardin Gibin, come Antonio Massa, per i pm avrebbe dovuto impedire ai cinque operai di scendere sui binari prima del rilascio telefonico dell’autorizzazione. Loro due avrebbero dovuto aspettare e compilare un modulo che non esiste e non è mai stato “riempito” fisicamente. Su questo aspetto, il capo cantiere ha spiegato, come riportato da La Stampa, che era «un protocollo sulla carta». Il modulo da compilare per esteso e per iscritto «veniva riempito a lavori in corso o al termine». Di fatto era «un optional».

Del capo cantiere si sa è che per settimane intere non ha dormito, si è rivolto ad uno psicologo per farsi aiutare e superare un disturbo post traumatico da stress che lo tormenta da quella notte. «Ero a lavorare con loro ed ero rivolto verso il treno. Ho visto una luce e quando sono saltato fuori dalla ferrovia e mi sono girato il treno stava ancora passando. Un secondo in più e sarei morto. Sono un sopravvissuto, ma è un destino atroce». Come riportato dal quotidiano, i medici gli hanno suggerito di non leggere i giornali. E non guarda neppure la tv. Uno stato emotivo difficile confermato dall’andamento dell’interrogatorio.