“Benvenuti all’inferno” aveva scritto Claudio Campiti in uno dei suoi tanti messaggi sulla Rete. Dopo episodi come quello che lo hanno visto uccidere tre persone durante una normale assemblea di appartenenti a una associazione di proprietari di seconde case, è sempre facile dibattere sulle cause, su cosa si poteva fare o no. Sarebbe invece il caso di cominciare a chiedersi se sia possibile agire in modo preventivo, perché i disturbi mentali sono oggi una patologia enormemente diffusa e destinata ad aumentare sempre di più. Basti pensare al recentissimo caso di Assago in cui una persona ha ucciso il cassiere di un supermercato perché “era invidioso della felicità altrui”.
Secondo Paolo Crepet, psicologo specializzato in problematiche educative giovanili, “questo appena verificatosi è un caso molto particolare, perché c’è da chiedersi, visto che le forze dell’ordine gli avevano negato quello che è un diritto garantito dalla legge, cioè il porto d’armi, come sia assicurata la sicurezza dei cittadini in queste situazioni”. Non basta, cioè, dice ancora Crepet, “mettere una firma su un foglio e poi avere comunque un soggetto pericoloso in circolazione”. A scattare, lascia intuire Crepet, è il cortocircuito che ruota intorno alla libertà del singolo: “I servizi sanitari esistono per chi ci vuole andare, vale per la psichiatria o per la cardiologia. L’Italia non è l’Iran”.
Dopo la strage verificatasi alla periferia di Roma il presidente del Consiglio, che conosceva una delle vittime, ha dichiarato: non è giusto morire così. Il prefetto di Roma parla di “evento imponderabile”. I media dicono che c’erano segnali di un potenziale gesto di questa gravità. Quale ritiene siano le parole più consone a quanto accaduto?
Ovviamente non è giusto morire in questo modo. Di tutte queste frasi quella su cui non sono d’accordo è dire che sia stato un evento imponderabile. Se lo diciamo noi che siamo le persone su cui i cittadini contano, allora si sentiranno indifesi. Questo signore ha pianificato, ha voluto, ha anche mandato degli avvertimenti. Non aveva annunciato la strage, perché questo non lo fa nessuno di coloro che poi la compiono, ma non è stato un gesto dettato dall’impeto.
Casi come questo sono sempre più comuni, perché c’è un evidente disagio mentale diffuso e in crescita. I servizi sanitari appositi cosa fanno per evitare o far sì che questi drammi non accadano?
Nessuno può obbligare un’altra persona a trattamenti sanitari di qualunque tipo, sia mentali che fisici.
Quindi persone con dei sintomi vengono lasciate in assoluta libertà?
No, in assoluta solitudine, noi non siamo l’Iran. Stiamo attenti alle parole.
Si può dire che il servizio sanitario abbia delle difficoltà a seguire queste persone?
Non è questo il caso.
Perché?
A meno che ignoriamo delle parti fondamentali di questa storia, questa persona non era seguita dai servizi psichiatrici.
Però i suoi vicini dicono di lui che “quel pazzo viveva nascosto sottoterra e pisciava in giardino”. Quindi il suo comportamento, quanto meno strano, era noto, non crede?
Siamo di fronte a una persona che aveva avuto una famiglia e adesso non l’aveva più e quindi viene meno il controllo familiare. Se poi questa situazione diventa una solitudine anche sociale, è chiaro che i rischi aumentano. Sotto traccia evidentemente portava un disagio, poi la morte improvvisa di uno dei suoi figli ha cambiato tutto. Ma non per questo possiamo mettere in galera o in ospedale tutti quelli che hanno subìto un lutto simile. Torniamo a quello che diceva lei: nessuno fa segnalazioni o se le fa non vengono tenute in debita considerazione.
Però gli era stato negato il porto d’armi.
Questa è già una diagnosi. Evidentemente aveva dato motivo alle forze dell’ordine di non ritenerlo idoneo. Ma c’è una contraddizione. Non si può dire: è talmente pericoloso che è bene non abbia delle armi. Quali armi? Se ti limiti a dire che non può avere una pistola, ma può avere dieci coltelli, tant’è vero che sono stati ritrovati due coltelli di cui uno da sub con cui poteva ammazzare tranquillamente una persona, allora non basta.
Non facciamo come in Iran, ma un condomino che va a una semplice assemblea come può stare tranquillo?
È una domanda che riguarda un sistema che deve trovare degli automatismi. Per avere il porto d’armi è necessaria una dichiarazione di idoneità fisica, ma anche psichica. Se le forze dell’ordine hanno informazioni tali da proibire quello che è un diritto riconosciuto dalla legge, vuol dire che ci sono motivazioni molto forti. Ma questo evidentemente non basta.
Il che significa sostanzialmente che non possiamo prevedere tutto?
No, ma dobbiamo provarci.
In un episodio recente e analogo, una persona che aveva ucciso un cassiere in un supermercato e tentato poi di ucciderne altre, ha dichiarato che era invidioso della loro felicità. Questi episodi vogliono provocare negli altri le stesse sofferenze che viviamo noi?
Non so se quest’ultimo sia il caso. Questa persona ha subìto un lutto improvviso e dolorosissimo. Poi c’è stato un divorzio, che è in modo diverso un altro lutto. È stato l’inizio di una catastrofe, anche economica da quanto si capisce, che si configura non solo come un desiderio di vendetta, quanto, secondo me, come una sorta di anestesia.
In che senso?
Che il dolore mi ha reso indifferente. Cioè: che tu viva o no non me ne frega niente, tanto a me della vita interessa poco. È una sorta di nichilismo. Quest’uomo aveva accumulato odio nei confronti di questa associazione che gli chiedeva cose che lui riteneva ingiuste. Dalla morte del figlio ha ereditato una sostanziale anestesia. Il troppo dolore porta a questo: a non sentire più niente.
(Paolo Vites)
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