“È terribile vedere queste immagini, pensare che esseri umani come noi possano essere così brutali, feroci. Perché torturare e uccidere così, perché?”. Nella voce di Maria Savchuk, giornalista della tv di Stato ucraina ora in Italia, il dolore è grande, ma non prevale sull’obiettività professionale: “serve una indagine indipendente, gli esperti facciano il loro lavoro e trovino le prove”.



Parliamo del massacro di civili che sarebbe stato commesso dalle truppe russe a Bucha (Buča), nell’Oblast’ di Kiev dove domenica sono stati trovate decine di vittime civili, molte con le mani legate, uccise con colpi alla testa e lasciate per strada. Cadaveri alla rinfusa, oltraggiati, che hanno indignato il comune senso di giustizia e di pietà. Le foto satellitari hanno permesso di individuare vicino alla chiesa di Sant’Andrea una fossa comune, subito ispezionata, che farebbe salire a più di 400 le vittime della strage.



Bucha segna una nuova escalation nel conflitto: il ministro degli Esteri russo, Lavrov, ha parlato di messa in scena dell’Occidente, negando ogni responsabilità della Russia, che ha chiesto una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu (in serata Londra ha detto no) . Biden invoca un processo a Putin per crimini di guerra, mentre la Ue studia ulteriori sanzioni che includano anche lo stop al gas.

Savchuk crede poco nelle trattative e dice che l’unica soluzione possibile è un cambio di regime a Mosca.

Alcuni politici – tra questi Scholz, Di Maio – hanno detto che occorre accertare come sono andate le cose. Amnesty ha dichiarato ieri che occorre un’indagine indipendente.



Sono d’accordo, evidentemente va fatta. Lo chiede il nostro senso di giustizia. Però a vedere quelle immagini, e a sapere che là ci sono stati per un mese i soldati russi, sono convinta che siano stati loro.

E adesso?

Gli esperti facciano il loro lavoro e trovino le prove.

Cosa può avere indotto quei russi a torturare e giustiziare in quel modo?

Bucha era un tranquillo sobborgo di Kiev, ci passa chi arriva nella capitale venendo da nordovest. Ma non riesco a collegare il proposito di entrare a Kiev con quelle atrocità. Un crimine di guerra così si spiega solo con la cattiveria di chi l’ha commesso.

A Istanbul, il negoziato ha suscitato alcune aspettative. Il Cremlino ha detto di volersi concentrare nel Donbass, poi c’è stato l’attacco ucraino al deposito di Belgorod, e adesso Bucha. Che ne pensi?

Secondo me Putin sto usando queste trattative solo per prendere tempo,  riorganizzarsi a livello militare e poi continuare l’attacco. Anche i vostri politici prendono tempo, perché al nostro esercito serve tempo per riorganizzarsi e rispondere ai russi. Ma francamente non credo molto in queste trattative.

Perché?

Perché l’obiettivo di Putin è il controllo territoriale e politico dell’Ucraina. Ha dichiarato di voler “denazificare” il Paese, ma in Ucraina non abbiamo nazisti che minacciano i russi. Ho parlato russo per tanti anni e non mi è mai successo niente.

Fa paura il proposito della “denazificazione”?

A mio avviso le sue dichiarazioni di voler ripulire l’Ucraina dai nazisti hanno ricompattato la gente, facendo di noi una nazione più forte di prima. Nessun ucraino vuole arrendersi, anzi vogliamo riconquistare la Crimea persa nel 2014. Se Putin vuole denazificare l’Ucraina dovrà eliminarci tutti, perché nessuno vuole vivere sotto il controllo di Mosca.

Però in Ucraina i russi ci sono. Ci sono sempre stati.

Non ho visto sondaggi recenti, ma chi vuole il controllo russo potrebbe essere intorno al 10 per cento. Più dell’80 per cento non vuole il regime russo, vuole le leggi europee, la democrazia europea, unirsi alla Ue. Queste sono le aspirazioni della nazione.

Il 7 febbraio 2019, nel quinto anniversario del Maidan, su proposta dell’allora presidente Poroshenko il parlamento modificò la costituzione, inserendovi “la piena appartenenza dell’Ucraina alla Nato e alla Ue” (artt. 85 e 116). Il preambolo dice che l’integrazione euroatlantica è un cammino “irreversibile”. Come si è arrivati a questa riforma?

In Ucraina ci sono state tre rivoluzioni. La prima fu la “rivoluzione sul granito”, nel 1990. Gli studenti occuparono il Maidan chiedendo più libertà democratiche, nazionalizzazione dei beni del partito comunista e nuove elezioni. La seconda fu la rivoluzione arancione del 2004, la terza la “rivoluzione della dignità”, nel 2014, quando il presidente Yanukovich, su pressione di Putin, si rifiutò di firmare l’Accordo di associazione con l’Ue. L’aspirazione della maggioranza degli ucraini era quella di aderire all’Unione Europea.

L’idea di Putin era sempre la stessa?

Sì, la pretesa che l’Ucraina faccia parte della Russia. Putin vuole ricreare la potenza che la Russia aveva in epoca sovietica e ha sempre cercato di impedire a tutte le ex repubbliche dell’Urss di avere una politica indipendente.

Deposto Yanukovich,  dopo il Maidan è toccato a Poroshenko.

Eletto con la promessa di entrare nell’Ue e nella Nato, Poroshenko firmò subito l’Accordo di associazione e per dimostrare la serietà delle sue intenzioni promosse la modifica della costituzione. Gli unici contrari in parlamento sono stati i deputati filorussi di “Piattaforma di opposizione”.

Uno dei principali fautori della modifica costituzionale è stato l’allora presidente del parlamento, Andrij Parubij. Cosa puoi dirci di lui?

Parubij ha partecipato attivamente al Maidan nel 2014, è riuscito a creare un proprio partito, il Fronte popolare, è stato eletto al parlamento e poi ne è divenuto presidente. Ha sostenuto l’iniziativa di Poroshenko.

È vero che Parubij ha un profilo politico spiccatamente di destra, se non di estrema destra?

Non lo definirei di estrema destra, ma di centrodestra.

La modifica costituzionale ha avuto l’appoggio degli ucraini?

Più del 50 per cento ha appoggiato la legge.

Era più importante l’ingresso nell’Ue o nella Nato?

L’Ucraina vuole far parte della famiglia europea, molti ucraini si sentono europei, ma abbiamo bisogno di proteggerci dalla Russia e questa protezione può venirci soltanto dalla Nato.

Quando Zelensky è stato eletto presidente ha proseguito sulla strada di Poroshenko?

All’inizio frenava, dicendo che la Nato non era pronta all’ingresso dell’Ucraina e che non aveva senso insistere. Poi, vedendo l’evoluzione della situazione ucraina e la pressione di Mosca, ha cominciato a cambiare posizione, e a dire che per la nostra sicurezza e per il nostro futuro dovevamo entrare nell’Alleanza.

Zelensky accusa gli Usa e l’Europa di non fare abbastanza per Kiev. Da qui si ha talvolta l’impressione che dietro le sue parole ci siano delle promesse tradite.

Io non so se e che cosa gli sia stato promesso, ma da noi si diceva che Biden avesse garantito l’esclusione della Russia dal sistema Swift. Sarebbe stata una grossa batosta per Mosca. Invece sono state escluse da Swift solo alcune banche russe, e così posso capire la delusione. In generale, ci aspettavamo sanzioni più dure.

Le sanzioni aumenteranno, e ieri c’è stata un’escalation diplomatica: Berlino ha espulso quaranta diplomatici russi, Parigi ha fatto altrettanto.

Adesso Europa e Stati Uniti stanno facendo una pressione molto forte sul regime di Putin. Dovrebbe funzionare ma ci vorrà tempo: gli effetti potremmo vederli tra uno-due anni, ma la guerra è adesso.

Il Wall Street Journal ha rivelato che alla conferenza di Monaco Scholz ha proposto a Zelensky di rinunciare alla Nato per prevenire una guerra con la Russia, ma Zelensky non ha accettato. Non è una resistenza, la sua, onerosa in termini di vite umane e impossibile da mantenere?

Zelensky deve difendere il popolo, che non vuole arrendersi e che ha già fatto sacrifici per avvicinarsi all’Ue e staccarsi dalla Russia. È una lotta che continua dal 1991, da quando l’Ucraina è diventata indipendente. Ma con Eltsin era diverso; i rapporti nella Csi sono cambiati quando Putin è andato al potere. E i problemi tra Mosca e Kiev si sono visti subito, nelle numerose crisi sui diritti di transito del gas.

Quando avete capito che si andava verso una guerra?

Io, che per lavoro ho seguito tutto quello che succedeva a Mosca e a Bruxelles, i primi segnali li ho avvertiti in novembre, e in dicembre mi sono resa conto che qualcosa di molto grave poteva succedere. Non così però, non con una guerra su vasta scala.

Che cosa ti aspettavi?

Ho realizzato tanti servizi, sentendo numerosi esperti militari e svariati politici, ucraini e russi, e una buona metà mi diceva di no, che una guerra non sarebbe mai esplosa perché non era nell’interesse né di Putin, né di Biden, né tantomeno di Zelensky, mentre altri mi dicevano che era molto probabile. Altri ancora prevedevano qualcosa di grave in Donbass, dove si combatte dal 2014. Anch’io lo pensavo.

Secondo te da dove può venire una svolta?

Serve una rivoluzione in Russia che tolga Putin dal potere. Solo così la guerra finirà, solo se i russi si occuperanno della Russia e lasceranno in pace l’Ucraina.

Ma c’è davvero la possibilità di un cambio di regime a Mosca?

Per ora è difficile, ci sono solo rumors non confermati che riguardano il cerchio stretto degli uomini più vicini a Putin. Dobbiamo sperare che prima o poi le sanzioni dell’Occidente inducano alcuni pezzi grossi del regime a ribellarsi, oligarchi o capi delle forze di sicurezza o delle forze armate russe.

(Federico Ferraù)

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