Strage di Erba, nuovo capitolo: depositato in Cassazione il ricorso della difesa di Olindo e Rosa contro la sentenza con cui, lo scorso luglio, la Corte d’appello di Brescia ha negato la revisione del processo a carico dei coniugi condannati per il massacro del 2006. Ora la palla passa alla Suprema Corte, chiamata a discutere l’istanza dei difensori della coppia in un appuntamento in aula fissato per il prossimo 25 marzo.
Sarà la quinta sezione penale a vagliare quanto proposto dal collegio di avvocati che assiste i Romano-Bazzi, convinto che il verdetto su cui i giudici bresciani hanno incastonato l’inammissibilità della riapertura del caso in sede giudiziaria sia viziato da errori di valutazione e da criticità procedurali clamorose. Lo aveva già sottolineato Fabio Schembri – legale difensore insieme ai colleghi Nico D’Ascola, Luisa Bordeaux e Patrizia Morello – all’indomani del tramonto della revisione processuale sostenendo di trovarsi di fronte a vizi “sia nella interpretazione giuridica del concetto di ‘prova nuova’ sia nella motivazione, la quale risulta in più punti omessa o meramente apparente“.
Strage di Erba: decine di pagine di ricorso per provare a far riaprire il processo e ribaltare il giudicato
I difensori di Olindo Romano e Rosa Bazzi giocano la carta del ricorso per Cassazione nella ferma convinzione che quanto accaduto a Brescia non sia corretto né dal punto di vista delle procedure né delle valutazioni. Con un documento di oltre 100 pagine, riporta Il Giorno, il collegio di avvocati che assiste i coniugi tenta di far riaprire la partita giudiziaria per arrivare a un eventuale ribaltamento del giudicato attraverso l’istituto della revisione (negato dalla Corte d’appello bresciana dopo un primo parere di ammissibilità dell’istanza che aveva portato alla citazione a giudizio, nuovamente in veste di imputati 13 anni dopo la condanna definitiva all’egastolo, Olindo e Rosa).
Nella strage di Erba furono brutalmente uccisi Raffaella Castagna, il figlio di 2 anni, Youssef Marzouk, la madre della donna, Paola Galli, e una vicina di casa, Valeria Cherubini. Unico sopravvissuto Mario Frigerio, marito di quest’ultima poi diventato teste chiave dell’accusa a carico dei Romano con un riconoscimento che, per la difesa, fu indotto se non estorto dai carabinieri intervenuti con modalità di audizione tutt’altro che ligie al protocollo. A chiedere la revisione del processo erano stati non solo gli avvocati della coppia di detenuti, ma anche il sostituto procuratore di Milano Cuno Tarfusser, il primo a depositare una autonoma richiesta, e Diego Soddu, tutore dei coniugi. Secondo il magistrato, le “prove” su cui si fondarono le accuse prima e il giudicato di condanna poi sarebbero “farlocche”, inesistenti e prodotte in un “contesto malato” dal punto di vista investigativo.