Cuno Tarfusser, ex giudice della Corte penale internazionale dell’Aja e sostituto procuratore generale di Milano, è uno dei protagonisti collaterali delle cronache legate alla strage di Erba. È stato lui, magistrato di lungo corso con una carriera densa di incarichi di rilievo, a chiedere per primo la revisione del processo sulla Strage di Erba nella ferma convinzione che non sussistano prove concrete a carico di Olindo Romano e Rosa Bazzi, i coniugi condannati all’ergastolo in via definitiva nel 2011.
Il caso del massacro di via Diaz dell’11 dicembre 2006 tornerà in tribunale il prossimo 25 marzo, con l’atteso pronunciamento della Cassazione sul ricorso proposto dalla difesa della coppia – rappresentata dai legali Fabio Schembri, Nico D’Ascola, Luisa Bordeaux e Patrizia Morello – contro la sentenza con cui la Corte d’appello di Brescia, nel luglio 2024, ha rigettato la richiesta di riapertura (dopo averla dichiarata ammissibile in via preliminare e aver tenuto ben 3 udienze).
Per la sua iniziativa senza precedenti, Cuno Tarfusser è stato segnalato al Csm dalla sua superiore nell’ufficio bresciano, la procuratrice generale Francesca Nanni, accusato di aver “scavalcato” le gerarchie dello stesso e di aver portato avanti un’azione per cui non sarebbe stato “legittimato”.
Da questa “guerra” intestina tra toghe è scaturita la sanzione della censura per Tarfusser, recentemente confermata dalla Cassazione (ma priva di effetti in quanto l’ex sostituto pg è già in pensione).
Strage di Erba, Cuno Tarfusser non si tira indietro: impianto accusatorio su Olindo Romano e Rosa Bazzi frutto di un “contesto malato”
All’esito della censura, nel 2024 Cuno Tarfusser non ha esitato a definire la giustizia italiana come un sistema “in decomposizione”. Parole pesantissime che ricalcano la sua prospettiva sulla genesi della sanzione disposta a suo carico dal Csm per aver “osato” chiedere la revisione del processo sulla strage di Erba: “Io punito perché fuori da correnti e poteri“.
Secondo l’ex sostituto pg di Milano, sui coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi si sarebbe tessuto un impianto accusatorio sulla Strage di Erba frutto di un contesto investigativo “malato”, con l’effetto di produrre come “granitiche” prove che in realtà sarebbero “farlocche”.
Tarfusser ha sempre difeso il suo lavoro e ha rivendicato in ogni sede la decisione di presentare richiesta di revisione del processo sulla Strage di Erba, convinto che “nulla torna” nella vicenda giudiziaria che ha portato alla condanna definitiva della coppia Romano-Bazzi. “Rifarei tutto“, ha ripetuto anche dopo la conferma della censura sottolineando di aver svolto semplicemente il ruolo di magistrato nel pieno rispetto dell’onestà intellettuale e professionale che è principio cardine del suo mestiere.
Strage di Erba, Cuno Tarfusser smonta i tre pilastri dell’accusa
Nel motivare la sua istanza ai colleghi di Brescia, Tarfusser ha “smontato” le coordinate chiave dell’inchiesta a carico dei coniugi poi finiti all’ergastolo.
Si tratta della testimonianza dell’unico sopravvissuto alla strage di Erba, Mario Frigerio (sua moglie Valeria Cherubini fu uccisa insieme a Raffaella Castagna, al piccolo Azouz Marzouk e alla nonna del bimbo, Paola Galli), della presunta traccia ematica di Cherubini indicata dagli investigatori sul battitacco dell’auto di Olindo Romano (di fatto invisibile e mai evidenziata correttamente nelle foto agli atti) e delle confessioni della coppia (secondo la difesa, estorte seguendo metodi di interrogatorio lontani anni luce dai protocolli).
“Il riconoscimento è frutto di un continuo inculcare la figura di Olindo nella testa di Frigerio – ha dichiarato Tarfusser –. La macchia di sangue sull’auto poi è ridicola, semplicemente non c’è. In un sistema anglosassone non sarebbe stata neanche ammessa: non c’è la prova del prelievo, non c’è catena di custodia, abbiamo solo una fotografia da cui non si vede nulla. È una prova inesistente, è esistita solo per giustificare i provvedimenti di fermo (…). Le confessioni sono conseguenza del provvedimento di fermo e dell’arresto che fonda su due prove farlocche“.