Il 15 dicembre 2006, quattro giorni dopo la strage di Erba, l’unico sopravvissuto Mario Frigerio veniva sentito in ospedale al suo risveglio dal pm Simone Pizzotti alla presenza di altre quattro persone: il suo avvocato, Manuel Gabrielli, il figlio Andrea, lo psichiatra dell’ospedale Sant’Anna di Como dove era ricoverato, Claudio Cetti, e il commissario di Polizia Antonino D’Angelo. Nessuno udì mai la parola “Olindo” e il poliziotto, dopo il medico Cetti, ha dichiarato a Le Iene di non averlo sentito e per questo non fu messo a verbale. Lo stesso supertestimone Frigerio confermò in tribunale, a domanda del pubblico ministero Massimo Astori sul perché non avesse fatto il nome del vicino le prime volte che fu ascoltato dagli investigatori, di non averlo pronunciato: “Non lo so, si vede che in quel momento non volevo capire”, la sua risposta al magistrato in aula.



Il 1° marzo scorso, nel processo di revisione della Strage di Erba che si celebra in Corte d’Appello a Brescia, l’avvocato dello Stato Domenico Chiaro, che sostiene l’inammissibilità delle istanze del sostituto pg Tarfusser e della difesa per la riapertura del caso, ha dichiarato che Frigerio fece il nome di Olindo Romano non una, ma due o forse “tre volte” già quel 15 dicembre senza essere però udito dal pm Pizzotti. Una versione che però contrasta anche con quanto cristallizzato nella sentenza di secondo grado emessa nel 2010 a carico di Romano e della moglie, Rosa Bazzi, nella quale si indica chiaramente che, relativamente all’audio di quel colloquio registrato in ospedale nel quale per l’accusa in primo grado si sentiva “È stato Olindo, “effettivamente i giudici hanno sentito un ‘file’ che era stato digitalizzato, e amplificato dalla Corte con il programma Cool Edit 2000 al fine di renderne il contenuto più intelligibile, peraltro apportando al ‘file’ originario una specie di modificazione, non valutata da un perito del settore, in grado di precisare se i suoni in tal modo potevano essere in qualche modo alterati, ovviamente senza alcuna intenzione di falsificare scientemente il risultato auditivo“. Per i giudici di secondo grado, si legge nella sentenza sulla Strage di Erba, in merito alle dichiarazioni rese da Frigerio “appare forse più credibile che il 15 dicembre, quando ancora non aveva maturato la decisione di fare il nome dell’aggressore, tanto è vero che non lo fa neppure nel colloquio con il suo legale avv. Gabrielli il 16.12.2006, abbia pronunciato ‘È stato uscendo, frase che rientra più logicamente nel contesto del periodo, come ritenuto dal consulente tecnico di parte Romano“. Se ne desume che Frigerio non ha riconosciuto Olindo Romano nell’immediatezza, come invece prova a sostenere la Procura generale di Brescia bypassando elementi fondamentali quali la stessa deposizione del superteste in aula, la manipolazione involontaria dell’audio e persino le dichiarazioni di chi, quel 15 dicembre 2006, era presente al colloquio tra il superstite e il magistrato Pizzotti.



Strage di Erba: la testimonianza inedita del poliziotto che registrò Frigerio in ospedale durante il colloquio con il pm Pizzotti

Antonino Monteleone, per Le Iene, a ridosso della seconda udienza di revisione del processo della Strage di Erba fissata per il 16 aprile a Brescia – dove a parlare sarà la difesa dei coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi – è tornato sul caso strage di Erba con la testimonianza inedita del poliziotto che, quel 15 dicembre 2006, in ospedale registrò il colloquio tra Mario Frigerio e il pm Simone Pizzotti alla presenza dell’avvocato dell’uomo, Manuel Gabrielli, del figlio Andrea Frigerio e del medico psichiatra Claudio Cetti. Si tratta di una testimonianza che ricalca quanto detto alla trasmissione dallo stesso dottor Cetti secondo cui “Frigerio non fece mai il nome di Olindo” in sua presenza. Non solo quattro giorni dopo il massacro, ma nemmeno in quelli successivi. A provare che Frigerio non avesse riconosciuto il vicino di casa Olindo quale suo aggressore è anche il fatto che il 16 dicembre, nel colloquio con il suo legale, ribadì di non ricordare nulla oltre al fatto di essere stato assalito da un soggetto a lui sconosciuto, “forte come un toro”, più alto di 6-10 centimetri e dalla carnagione olivastra.



Il poliziotto D’Angelo, che il 15 dicembre si occupò della registrazione del colloquio tra Pizzotti e Frigerio, ha riferito quanto segue a Le Iene: “Io gli tenevo il registratore sotto la bocca, era messo dall’altro lato e di là c’era il magistrato che gli parlava vicino (…). Io ero assegnato a Pizzotti e lavoravo con lui. Quel giorno lì – ha confermato D’Angelo – si è andati per cercare di capire se potesse dire qualcosa. Se Frigerio avesse detto il nome di Olindo, lo avremmo messo a verbale. Se non c’è a verbale, sicuramente non l’ha detto. Se veniva udito, veniva scritto. Non è stato udito, non è stato scritto. Su quello non c’è nessun dubbio. Non c’è nessun dubbio che lo avrei messo. Se l’avvocato suo sentiva anche lui che diceva ‘Olindo, il figlio che era lì presente lo avrebbe anche lui sottolineato ‘È stato Olindo'”. Sul verbale del colloquio in questione, datato 15 dicembre 2006, il poliziotto, ricostruisce Monteleone, ha fatto però una precisa annotazione: “Si dà atto che Frigerio ha altresì dichiarato che l’appartamento dei Castagna era frequentato da extracomunitari di etnia araba“.

Su quella annotazione, D’Angelo ha dichiarato quanto segue: “Lo abbiamo aggiunto dopo noi, mentre verbalizzavamo, perché ci siamo ricordati di là che lui aveva detto pure queste cose e l’abbiamo scritto, che lui aveva detto che la casa era frequentata da molta gente di etnia araba”. Un dettaglio importante che dimostra, ancora una volta, che non è possibile che Frigerio avesse pronunciato la frase “È stato Olindo – peraltro senza essere sentito da nessuno dei presenti in quella stanza, pur trattandosi di una rivelazione clamorosa – nel contesto di un racconto in cui descriveva qualcuno a lui sconosciuto sottolineando che l’abitazione teatro della strage fosse frequentata da stranieri.