Strage di Erba, seconda udienza cruciale per la difesa di Rosa e Olindo

La seconda udienza per la revisione del processo a carico di Olindo Romano e Rosa Bazzi sulla strage di Erba è stata cruciale per la difesa dei coniugi condannati all’ergastolo per il massacro dell’11 dicembre 2006. Per ore, davanti alla Corte d’Appello di Brescia, gli avvocati della coppia hanno esposto tutte le novità che ritengono capaci di ribaltare il giudicato. Tra queste, l’analisi dei “metadati” di un fascicolo fotografico agli atti dalla quale emergerebbe, nero su bianco, una incredibile sequenza di strafalcioni investigativi che potrebbe smontare definitivamente l’unica prova “scientifica”, nell’architettura degli elementi portanti dell’accusa, che ha contribuito a portare i Romano-Bazzi al fine pena mai: la macchia di sangue di Valeria Cherubini sul battitacco dell’auto di Olindo.



Secondo quanto riportato da Antonino Monteleone a Le Iene, a margine dell’udienza conclusa con la fissazione di un terzo appuntamento in aula per il prossimo 10 luglio, quanto prodotto in tribunale dagli avvocati di Olindo Romano e Rosa Bazzi su quella traccia ematica avrebbe il sapore di un clamoroso asso nella manica per portare a riscrivere la storia della mattanza e al proscioglimento della coppia. Si tratta di un elemento che sarebbe stato scovato dalla difesa nel verbale relativo alla repertazione condotta dall’allora brigadiere Carlo Fadda sulla vettura dell’imputato e che, per la sua incongruenza con l’acquisizione delle immagini dei rilievi, lascerebbe scoperti i nervi di un’indagine condotta con metodi così superficiali che l’avvocato Nico D’Ascola, parte del team difensivo, sostiene di non aver mai visto neppure nei peggiori “processi da trincea” affrontati durante la sua carriera.



La macchia di sangue sull’auto di Olindo Romano fu un atto di fede: come cambia la storia della Strage di Erba?

Quella macchia di sangue, al netto di ogni opinione colpevolista o innocentista, resta comunque un mero atto di fede. Lo aveva già sottolineato il sostituto procuratore generale di Milano Cuno Tarfusser, che per primo ha presentato istanza di revisione del processo. Nessuno, oltre Fadda che dice di averla individuata sul battitacco della macchina, l’ha mai vista. E questo perché non fu documentata da chi l’avrebbe trovata: nessuna foto al buio, come protocollo invece impone, per evidenziarne la luminescenza con la tecnica del luminol, ma solo un cerchietto rosso aggiunto alla foto in post produzione, fatto al computer, per dire che sì, lì una traccia c’era anche se invisibile e non impressa in una istantanea che ne indichi l’esatta entità e localizzazione.”La foto che avrebbe dovuto certificare la luminescenza, che si fa inevitabilmente al buio, non c’è“, tuona la difesa.



Lo stesso generale Luciano Garofano, all’epoca comandante del Ris di Parma che nell’immediatezza della strage di Erba condusse rilievi a caccia di sangue a casa degli imputati – senza trovarne neppure la minima traccia – nel 2018, intervistato da Le Iene, criticò fortemente le operazioni condotte sull’auto dal carabiniere del Nucleo di Como: “Sono critico anche io sul fatto che della macchia di sangue sul battitacco non è allegata una foto della luminescenza. Credo che, proprio in virtù del fatto che noi, da tracce invisibili, possiamo dedurre la responsabilità o meno di un cittadino con delle pene severissime, la attenzione, la scrupolosità nel documentare deve essere massima. Non possiamo più permetterci il lusso di rimanere ancorati soltanto a un verbale e alla buona fede dell’ufficiale di polizia giudiziaria. Credo che noi dobbiamo ai cittadini chiarezza, trasparenza. Sulla scena del crimine noi ci giochiamo non solo la credibilità, ma la verità“.

Strage di Erba, la scoperta della difesa nel verbale del brigadiere Fadda sulla macchia di sangue di Valeria Cherubini

La difesa di Olindo Romano e Rosa Bazzi avrebbe quindi un asso per demolire l’unica prova scientifica sostenuta dall’accusa nell’ambito della Strage di Erba, al punto che i consulenti di parte ipotizzano persino che non esista. Ad alimentare i dubbi sulla traccia che il brigadiere Fadda isolò sul battitacco dell’auto dell’imputato, le incongruenze tra quanto riferito dallo stesso carabiniere e quanto dichiarato dal perito del tribunale Carlo Previderè che la analizzò scoprendo che si trattava di sangue della vittima Valeria Cherubini. Fadda disse che la macchia era invisibile a occhio nudo perché “era stata pulita”, quindi lavata da Olindo Romano nel tentativo di cancellarla, eppure il professor Previderè, anni fa a processo in corso, in aula parlò di una traccia dalle caratteristiche completamente diverse: “L’osservazione del profilo genetico che è stato ottenuto da questa traccia, in tutte le sue ripetizioni, non ha evidenziato la presenza di degradazione del Dna che interviene per l’azione di diversi fattori tra cui ad esempio l’acqua, l’umidità, l’esposizione ad agenti chimici, atmosferici…“. Una incongruenza che, per il genetista Marzio Capra consulente della difesa e già vicecomandante del Ris di Parma, non è possibile: “Per definizione, una traccia evidenziata con il luminol non può essere concentrata – ha dichiarato a Le Iene -, al posto di Previderè mi sarei insospettito”. Per la difesa, la macchia sottoposta all’analisi del perito non può essere la stessa “repertata” da Fadda. 

C’è poi un punto cruciale, che potrebbe rivelarsi un asso per la difesa in ottica di revisione del processo, emerso poche ore fa nella seconda udienza in Corte d’Appello a Brescia sulla Strage di Erba. Analizzando le operazioni eseguite dall’allora brigadiere Fadda sull’auto di Olindo Romano, la difesa si sarebbe accorta di un dettaglio potenzialmente decisivo per dimostrare che la macchia di sangue sul battitacco o non esiste o non fu trovata esattamente in quella sede. Fadda avrebbe condotto i rilievi il 26 dicembre 2006, 15 giorni dopo la strage di Erba, e avrebbe messo a verbale le operazioni soltanto due giorni più tardi nonostante si trattasse di accertamenti urgenti sollecitati dagli inquirenti. La repertazione delle tracce e le fotografie devono essere fatte contestualmente, nello stesso momento, cosa che secondo la difesa non sarebbe avvenuta durante i rilievi sul veicolo di Romano. E sarebbe solo l’inizio delle criticità sulla repertazione sollevate da legali e consulenti della coppia. Quella notte, infatti, Fadda avrebbe iniziato le operazioni intorno alle 23:28, scattando alcune foto sullo stato generale dell’auto, dalla numero 1 alla numero 8. Successivamente avrebbe dato il via alla ricerca di tracce biologiche all’interno del mezzo con una luce forense, il mini crimescope, che però avrebbe dato esito negativo.

Fadda avrebbe poi spruzzato il luminol su quattro punti della macchina: portiera sinistra, manopola per regolare altezza del sedile del conducente, battitacco lato conducente, parte sinistra del cuscino passeggero anteriore. Per ogni punto di campionamento avrebbe scattato una foto, sempre alla luce e mai al buio, dalla numero 9 alla numero 12, corrispondenti rispettivamente ai reperti 1, 2, 3 e 4. Marzio Capra, esaminando i metadati dei file delle stesse foto, si sarebbe accorto di un particolare che per la difesa sarebbe clamoroso: le foto sarebbero state scattate in un ordine diverso da come riportato a verbale e la prima in ordine cronologico reale sarebbe proprio quella del battitacco (indicata da Fadda come “reperto 3” nel documento). Anziché in ordine progressivo dalla 9 alla 12, gli orari evidenziati da Capra mostrano che l’ordine effettivo in cui furono scattate sarebbe 11-10-12-9. Il numero 11 indica la foto del battitacco che, secondo la difesa, sarebbe stata indicata da Fadda erroneamente come “reperto 3”, ma sarebbe il “reperto 1”. Questo cambierebbe tutto perché alla voce “reperto 1”, infatti, Fadda avrebbe messo a verbale di aver eseguito non solo il luminol, ma anche un altro test che consente di stabilire con precisione se in quel punto c’è davvero del sangue di origine umana: l’Hexagon test, altamente specifico, ha spiegato Capra, “perché reagente al solo sangue umano“. Un ulteriore accertamento che, si legge nel verbale, sul reperto 1 diede esito negativo.