La verità processuale sulla strage di Erba è cristallizzata nella sentenza definitiva a carico dei coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi, riconosciuti responsabili del massacro dell’11 dicembre 2006 da 26 giudici in tre gradi di giudizio. All’ergastolo e in carcere da 17 anni, la coppia non ha mai smesso di professarsi innocente dopo la ritrattazione delle confessioni, secondo la difesa rese in un contesto denso di pressioni per stringere subito il cerchio delle indagini intorno al profilo degli assassini. A sostenere le posizioni di estraneità ai fatti dei due condannati, oltre al fisiologico appoggio del team di avvocati e consulenti di parte, c’è la lettura del caso proposta dal sostituto procuratore generale di Milano, Cuno Tarfusser, nella sua richiesta di revisione del processo depositata pochi mesi fa alla Corte d’appello di Brescia e attualmente sottoposta a vaglio di ammissibilità.



A sostenere che Olindo e Rosa siano innocenti anche i giornalisti Edoardo Montolli e Felice Manti, i primi, oltre l’ovvia linea della difesa, a produrre una controinchiesta sulla strage di Erba per mettere nero su bianco tutto quello che non torna sulla condanna dei Romano-Bazzi e sulla ricostruzione degli omicidi. Su questa scia si innesta l’inchiesta di Antonino Monteleone per Le Iene, un lavoro di anni in cui il giornalista ha portato davanti alle telecamere di Italia 1 quelli che sarebbero gli ingredienti di uno dei più clamorosi errori giudiziari della storia italiana.



Monteleone a Le Iene sulla strage di Erba: “Ecco perché Rosa e Olindo non possono essere gli assassini di via Diaz”

L’ombra di un clamoroso errore giudiziario aleggia intorno al caso della strage di Erba, la cui verità ufficiale, stabilita dalle sentenze di condanna a carico di Olindo Romano e della moglie, Rosa Bazzi, potrebbe non corrispondere a quanto accaduto la notte dell’11 dicembre 2006 nel “palazzo del ghiaccio” della corte di via Diaz. Ne sono convinti avvocati difensori e consulenti di parte, il sostituto pg di Milano, Tarfusser, il tutore della coppia, Diego Soddu, e Antonino Monteleone de Le Iene, che con il contributo dei colleghi Edoardo Montolli e Filippo Manti ha portato in tv le contraddizioni e le presunte falle dell’inchiesta che portò all’ergastolo i due coniugi. Riavvolgendo il nastro della cronaca, si torna alla prima persona che, subito dopo la difesa dei Romano-Bazzi, ha messo in dubbio la loro colpevolezza: Azouz Marzouk. Si tratta dell’uomo che, nel massacro, ha perso la moglie Raffaella Castagna e il figlio di 2 anni, Youssef, brutalmente assassinati insieme alla nonna materna del piccolo, Paola Galli, e alla vicina di casa Valeria Cherubini. Secondo chi ritiene Olindo e Rosa innocenti, non solo le indagini furono condotte in modo superficiale e lontano anni luce dai protocolli che deontologia imporrebbe – per quanto concerne le modalità dei rilievi sulla scena del crimine e quelle degli interrogatori -, ma anche la testimonianza chiave dell’unico sopravvissuto, Mario Frigerio (marito di Valeria Cherubini), non sarebbe “genuina”. L’accusatore di Olindo e Rosa, oggi deceduto, secondo la difesa sarebbe stato “indotto” al riconoscimento di Romano da una serie di domande suggestive di un carabiniere.



Nella sua inchiesta per Le Iene, Antonino Monteleone spiega cosa non torna e cosa scagionerebbe la coppia: Rosa e Olindo non possono essere gli assassini perché non avrebbero potuto scappare dalle scale della palazzina di Raffaella Castagna per poi rientrare nel loro appartamento, come sostenuto invece dalle sentenze: insanguinati da testa a piedi, infatti, sarebbero stati visti da tutti i soccorritori arrivati nella corte dopo lo scoppio dell’incendio“; sarebbero innocenti “perché non è possibile accettare – dichiara Monteleone – una ricostruzione, che molti ritengono inverosimile, secondo cui Valeria Cherubini, trafitta da 47 coltellate e colpita violentemente alla testa, riesca a trascinarsi lungo un pianerottolo, a salire 18 gradini mentre è inseguita dai suoi aggressori e poi, una volta entrata nel suo appartamento, riesca a gridare ‘Aiuto’ con la gola recisa e la lingua tagliata, il tutto senza lasciare lungo il tragitto che poche gocce di sangue. Rosa e Olindo non possono essere gli assassini perché non hanno perso un capello a terra” e non c’è alcuna traccia della loro presenza, neppure microscopica, sulla scena del crimine. Non c’è neppure una minima traccia che riconduca al massacro nelle loro pertinenze, abitazione e lavanderia, passati al setaccio dal Ris fino agli scarichi del bagno.

Nel teatro della strage, qualcuno rimasto ignoto, sottolinea Monteleone, ha invece lasciato tracce mai tenute in considerazione (come l’impronta palmare insanguinata su una parete del pianerottolo). Secondo chi ritiene i due coniugi estranei alla carneficina, non possono essere gli assassini anche perché Mario Frigerio, testimone chiave dell’accusa, inizialmente non aveva riconosciuto in Olindo il suo assalitore ma aveva parlato di un “uomo sconosciuto, non del posto, con la carnagione olivastra, tanti capelli neri, più alto di lui di 6-10 cm, forte come un toro“. “Solo dopo che un carabiniere (l’allora maresciallo Gallorini, ndr), interrogandolo, gli ripete per nove volte il nome di Olindo, il ricordo di Frigerio cambia“. Anche la macchia di sangue isolata sul battitacco dell’auto del condannato e che, secondo la giustizia, inchioderebbe i Romano-Bazzi, sarebbe non solo di natura controversa, ma addirittura, forse, inesistente: “Non appare nelle foto che avrebbero dovuto dimostrare che lì invece c’è – sottolinea Monteleone –, perché di quella macchia non è stata scattata una foto al buio essenziale per apprezzarla in luminescenza. Non è stata repertata, e il carabiniere che l’ha rilevata (il brigadiere Fadda, ndr) non esclude che quel sangue, in realtà, l’abbiano portato lì i suoi colleghi“. Una percentuale tra il 50 e il 70% delle confessioni della coppia, inoltre, sarebbe minata da errori e contraddizioni smentiti da dati oggettivi rilevati sulla scena. Ai due, in sede di interrogatorio, furono mostrate le foto del massacro e sarebbe stata promessa una serie di benefici in caso di confessione. Secondo i consulenti della difesa, Olindo e Rosa non possiederebbero le facoltà mentali necessarie a concepire e portare avanti un massacro di simile portata e complessità, ancor meno per cancellare in modo così chirurgico ogni loro traccia dalla scena di una strage di tale efferatezza.

Pino Rinaldi e quella rivelazione sulle pressioni su Chi l’ha visto?: “Abbiamo avuto una tirata d’orecchie dalla commissione di vigilanza…”

Secondo l’inchiesta trasmessa da Le Iene, Rosa e Olindo non sarebbero gli assassini anche perché i reperti che avrebbero potuto dimostrare la loro innocenza sono andati incomprensibilmente distrutti nonostante l’ordine contrario dei giudici. A portarli all’inceneritore, la mattina in cui era attesa la decisione della Cassazione sull’istanza di analisi difensive, un cancelliere del Tribunale di Como. Mancano inoltre centinaia di ore di intercettazioni relativi a fasi cruciali delle indagini, comprese quelle interne all’abitazione dei Romano-Bazzi e quelle, ancora più nevralgiche, relative al periodo in cui il sopravvisssuto Frigerio avrebbe maturato il riconoscimento di Olindo dopo l’iniziale identikit di un ignoto. 

L’inchiesta de Le Iene ritorna anche su un capitolo rimasto sottotraccia per anni, ma collaterale alla narrazione della strage di Erba e denso, ancora oggi, di interrogativi senza risposta. Si tratta dell’episodio descritto dal giornalista Pino Rinaldi nel 2011, in una puntata di Porta a Porta in cui sembrò avanzare l’ombra di presunte pressioni sulla trasmissione per cui lavorava, Chi l’ha visto?, quando ricostruì le incongruenze sul processo in un servizio del collega Gianloreto Carbone. “Spero – disse Rinaldi rivolgendosi al conduttore Bruno Vespa – che per voi non ci sarà la stessa azione che c’è stata nei confronti di Chi l’ha visto? quando abbiamo raccontato le stesse cose che sono state dette qui. Abbiamo addirittura avuto una tirata d’orecchie da parte della Commissione di vigilanza. Perché? Noi abbiamo messo in fila tutto quanto, abbiamo informato e invitato i vari attori di questa storia, e ci sono tanti perché. Il mistero rimane. Il lavoro del Ris è stato dettagliato. È stato trovato un campione di sangue che non è né delle vittime né di Olindo e Rosa. E di chi è quel sangue? Secondo me, in primo e secondo grado ci dovevano essere degli approfondimenti più forti”.