L’ex brigadiere Carlo Fadda, intervenuto nelle indagini sulla strage di Erba con i rilievi sull’auto di Olindo Romano al cui esito fu rilevata la macchia di sangue attribuita alla vittima Valeria Cherubini, rompe il silenzio a un passo dalla revisione del processo per l’ex netturbino e sua moglie, Rosa Bazzi, condannati all’ergastolo in via definitiva per il massacro dell’11 dicembre 2006. Oggi in pensione, Fadda ha risposto alle domande del quotidiano La Provincia di Como su uno dei nodi sollevati dalla difesa nell’alveo delle presunte criticità e anomalie investigative che potrebbero riscrivere la storia della mattanza arrivando, questo l’auspicio dei legali della coppia, al proscioglimento di entrambi. La difesa ritiene che la repertazione non sarebbe stata fatta seguendo correttamente i protocolli perché quella traccia ematica, unico pilastro scientifico tra le prove sostenute dall’accusa a carico dei coniugi, non si vede nelle foto dei rilievi. Fu evidenziata con un cerchietto rosso e quella foto non fu scattata al buio, cosa che invece avviene per prassi quando si ci si serve della tecnica del luminol. Un punto sul quale persino il sostituto procuratore generale di Milano, Cuno Tarfusser, ha sollevato interrogativi ora al vaglio della Corte d’Appello di Brescia chiamata a decidere sul giudizio di revisione.



Quese le parole di Fadda sulle attività da lui condotte all’epoca, precisamente la notte del 26 dicembre 2006: “Ho utilizzato la lampada crimescope che non ha evidenziato niente di così evidente. Poi ho spruzzato il luminol. E questo ha dato luminescenza in quattro differenti punti. La luminescenza avviene quando c’è buio completo. Le fotografie sono state scattate in presenza di luce, per questo non si vede. Ma le foto le ho fatte nel punto dove ho riscontrato la positività. In ogni caso si vedono chiaramente gli aloni del liquido spruzzato“. Sul battitacco dell’auto di Romano, dove l’allora brigadiere del Nucleo operativo di Como rilevò la traccia di sangue, secondo la difesa però potrebbe non essere stato spruzzato il luminol perché l’area interessata, a detta dei consulenti di parte, da quella foto sembrerebbe asciutta rispetto alle zone circostanti. Secondo Tarfusser, il primo a fare istanza di revisione del processo, la maggiore criticità sarebbe rappresentata dal fatto che non sarebbe stata rispetta la catena di custodia del reperto necessaria a documentare in modo puntuale tutti i passaggi dei rilievi scientifici.



Noi provvediamo a repertare laddove quelle luminescenze si verificano – ha dichiarato Fadda a La Provincia di Como , senza avere la certezza che si tratti di sangue (..). Quel dato lo rivela successivamente il laboratorio dove vengono analizzati i reperti. Ora si utilizza una sorta di cotton fioc, un tempo si utilizzavano dei piccoli rettangoli di carta assorbente, chiamata carta bibula, che venivano sfregati sulla zona indicata“. Una volta asciutta, ha spiegato l’ex brigadiere, quella carta veniva imbustata e sigillata come da protocollo per essere poi inviata al centro analisi. Quanto repertato nell’automobile di Olindo Romano, ha concluso Fadda, è stato correttamente conservato, custodito “in un armadio blindato” per essere poi mandato in laboratorio, su disposizione della Procura, due giorni dopo i rilievi (il 28 dicembre seguente, ndr).



Strage di Erba, il nodo della macchia di sangue: cosa disse Fadda a Le Iene

Fadda ha dichiarato al quotidiano di non credere affatto all’ipotesi della contaminazione, cioè che quella traccia ematica possa essere stata portata involontariamente da altri sul battitacco (nello specifico, come ipotizza la difesa, da carabinieri che avrebbero perquisito il mezzo subito dopo essere stati sulla scena del crimine), pur ritenendo però che i legali di Olindo Romano e Rosa Bazziavrebbero dovuto insistere sull’ipotesi di contaminazione, non accusarci di dolo“. Non è la prima volta che l’ex brigadiere affronta il nodo macchia di sangue anni dopo la strage di Erba. Lo aveva fatto anche nel 2018 quando, raggiunto dall’inviato de Le Iene Antonino Monteleone, aveva dato una prima risposta pubblica all’interrogativo chiave della difesa: perché la foto della traccia che inchiodò la coppia non fu scattata al buio così da evidenziarne, come si dovrebbe, la luminescenza e contestualmente anche l’esatta localizzazione?

Quella foto non è stata eseguita – aveva dichiarato Fadda –, non è una mancanza grave. Non si è potuto farla in quel momento lì, non per questione di tempo ma di tecnologie. Ci voleva una macchina fotografica più adeguata per poterla fare. Non avevamo l’attrezzatura per poter fare quella foto (…), si poteva fare però avendo più tempo di esposizione e tutto quanto. Mancava una macchina fotografica adeguata. (…) Purtroppo non si è espresso nell’immagine che è stata fatta. Non è stata fatta perché non è risultata, quando sono state fatte le fotografie non è risultata. Non era la prima volta che usavamo quella macchina fotografica, quella lì non è uscita, non è stata impressa. È stata scattata e non è uscita la foto“. Sempre a Monteleone, l’ex brigadiere aveva detto la sua sulla possibilità di una contaminazione: “Quando è successo il fatto ero in ferie, non posso sapere chi è entrato dentro quella macchina. Non posso sapere se la macchia è stata portata da un collega o meno. La macchia è stata trovata lì e basta (sul battitacco, ndr). Secondo me gli avvocati possono puntare più sull‘inquinamento di quella traccia, perché quella macchia lì, quella soltanto, non li avrebbe mai mandati all’ergastolo (…). Quella macchia lì era smontabile secondo me“.

Interpellato dall’inviato de Le Iene qualche anno fa, il generale Luciano Garofano, ex comandante del Ris di Parma che condusse in prima persona i rilievi a casa dei Romano-Bazzi (tutti con esito negativo al punto che il Ris stesso, dopo essere stato incaricato dall’accusa, divenne teste della difesa a processo), commentò così la repertazione nell’auto dell’ex netturbino: “Sono critico anche io sul fatto che della macchia di sangue sul battitacco non è allegata una foto della luminescenza. Credo che, proprio in virtù del fatto che noi, da tracce invisibili, possiamo dedurre la responsabilità o meno di un cittadino con delle pene severissime, la attenzione, la scrupolosità nel documentare deve essere massima. Non possiamo più permetterci il lusso di rimanere ancorati soltanto a un verbale e alla buona fede dell’ufficiale di polizia giudiziaria. Credo che noi dobbiamo ai cittadini chiarezza, trasparenza. Sulla scena del crimine noi ci giochiamo non solo la credibilità, ma la verità“.