Edoardo Montolli e Felice Manti, giornalisti che da anni si occupano della strage di Erba con la controinchiesta “Il grande abbaglio” pubblicata su Fronte del Blog, in un recente video su YouTube hanno mostrato un documento inedito, rimasto per anni sepolto tra le carte della Procura senza essere portato a conoscenza del pubblico, che a loro dire spiegherebbe la genesi della confessioni di Rosa Bazzi e Olindo Romano. Si tratta di un fax, ricostruisce Montolli, che il generale Luciano Garofano – all’epoca del massacro comandante del Ris di Parma, intervenuto sulla scena con i suoi uomini a caccia di tracce utili alle indagini – avrebbe inviato al pm mezz’ora prima dell’arresto dei coniugi, l’8 gennaio 2007, nel quale sarebbero condensati elementi parziali e quindi non conclusivi sui reperti sequestrati dai carabinieri a casa della coppia, in particolare sui panni bagnati trovati dentro la lavatrice a notte fonda.
In sintesi, Garofano non avrebbe aspettato di avere in mano l’esito finale delle analisi sull’eventuale presenza di sangue e avrebbe sottoposto all’attenzione del pubblico ministero, dottor Nalesso, il risultato degli accertamenti biologici preliminari sugli indumenti oggetto di sequestro nelle more delle attività tecnico-scientifiche che avrebbero invece rivelato la totale assenza di tracce ematiche delle vittime sugli stessi. Questa comunicazione, stando al lavoro di Montolli e Manti, avrebbe dato modo ai pm di contestare alla coppia, in sede di primo interrogatorio (quando entrambi negavano con forza di aver commesso la mattanza, due giorni prima di confessare), la presenza di sangue che in realtà non è mai stato trovato. Un elemento che, insieme all’asserito riconoscimento di Frigerio e al presunto ritrovamento di materiale ematico di Cherubini sul battitacco dell’auto di Romano, secondo gli inquirenti li avrebbe mandati all’ergastolo “in cinque minuti” e perciò, pressati dalla paura di non vedersi più, avrebbero confessato.
Il fax del generale Luciano Garofano inviato poco prima dell’arresto di Rosa Bazzi e Olindo Romano
Il fax inviato dal generale Garofano al pm Nalesso a ridosso dell’arresto di Rosa Bazzi e Olindo Romano, l’8 gennaio 2007, si riferisce ai rilievi condotti dai militari a casa della coppia il 12 dicembre 2006, poche ore dopo la strage di Erba, e indica un risultato preliminare sui panni bagnati trovati in lavatrice e sequestrati dai carabinieri alle 3 di quella tragica notte. Un esito che invece verrà sconfessato dagli ulteriori approfondimenti scientifici portando a cristallizzare un’evidenza che spingerà addirittura il Ris di Parma a passare dal ruolo di testimone dell’accusa a quello a favore della difesa: la totale assenza di macchie di sangue. A casa dei coniugi non fu trovata alcuna traccia delle vittime, neppure negli scarichi del bagno, e nulla che riconducesse a loro fu trovato sulla scena del crimine. Un fatto, questo, sul quale si concentrò da subito la perplessità del pool difensivo: possibile compiere una simile mattanza senza lasciare neppure un capello?
L’ex comandante del Ris di Parma avrebbe scritto che su alcuni degli indumenti sequestrati dai carabinieri, reperti sottoposti “alla ricerca di tracce ematiche latenti/diluite attraverso la nebulizzazione del luminol“, sarebbero state rilevate delle “luminescenze significative in determinate aree” e che queste positività facessero “ragionevolmente ritenere” che le tracce fossero costituite da “sangue umano residuato dal processo di lavaggio“. “Questo fax in sé non costituisce prova né indizio – ha sottolineato Montolli –, Garofano avrebbe dovuto usare più prudenza nell’inviare quella comunicazione dato che altri panni, nella lavatrice di Rosa Bazzi, erano risultati negativi. A maggior ragione lo possiamo dire visto che poi, su tutti i panni compresi quelli segnalati da Garofano, non risulterà esserci alcuna traccia delle vittime. Invece non accadde cosi, ed è proprio questo fax che consentì ai pubblici ministeri di contestare a Olindo Romano e Rosa Bazzi una prova inesistente, ovvero le macchie di sangue sui panni in lavatrice. Ecco come nasce quella leggenda“.