La revisione del processo sulla strage di Erba ci riporta a rivivere l’orrore. Tutti ricordano le immagini della “corte del ghiaccio” con la palazzina che in pochi minuti, la sera dell’11 dicembre 2006, verso le 20.20, divenne un mattatoio avvolto da fiamme e fumo nel quale furono barbaramente uccisi Raffaella Castagna, il suo bambino Yossef Marzouk, sua madre Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini mentre il marito di quest’ultima, Mario Frigerio, fu salvato dai tempestivi soccorsi.



I primi sospetti caddero su Azouz Marzouk originario della Tunisia, marito di Raffaella Castagna e padre di Yossef, con precedenti penali per spaccio di droga e reduce da una carcerazione dalla quale era uscito grazie all’indulto. Ma al momento della strage Azouz era in Tunisia e il suo alibi fu confermato lasciando aperto il sospetto di un regolamento di conti agito contro di lui. Come è noto l’attenzione degli inquirenti si spostò su Rosa Bazzi e Olindo Romano, la coppia che abitava nella stessa corte e che aveva avuto motivi di litigio e contenziosi legali con Raffaella Castagna. Elementi che intersecano fin dall’inizio i tratti particolari di due persone che appaiono chiuse in una bolla, determinate da una routine stretta attorno a fissazioni quasi maniacali, per la pulizia, per esempio – netturbino lui, domestica a ore lei – imbrigliati in labirinti mentali nei quali sembrano perdersi insieme in un isolamento condiviso. Reclusi in due carceri diversi, vivranno la loro separazione come l’unico insopportabile incubo, appariranno spesso sprovveduti, confusi, contraddittori, proclamando la loro totale estraneità ai fatti criminosi per poi confessarsi colpevoli del massacro e ancora tornando a dichiararsi convintamente innocenti.



Le sequenze del processo, di forte impatto mediatico, con le inquadrature su Rosa e Olindo ingabbiati fra le sbarre con atteggiamenti apparentemente estranei alla tragedia personale e collettiva, o sui visi tirati di Carlo Castagna e i due figli, hanno lasciato il segno cupo di uno spettacolo tragico, stretto fra supposizioni di colpevolezza o innocenza dei due imputati Rosa e Olindo, che dopo tre gradi di giudizio furono condannati all’ergastolo.

La parola fine, come a conclusione di un film, in questi casi sembra la più opportuna. E non è un caso se la prospettiva di revisione del processo, che sarà decisa il prossimo 1° marzo dai giudici della Corte d’Appello di Brescia, sta infuocando il dibattito e generando una certa opposizione contro chi intende far riaffiorare atrocità già archiviate, riaprirne le ferite con il rischio di provocare una banalizzante contrapposizione fra innocentisti e colpevolisti enfatizzata dai media. “Non sono né colpevolista né innocentista” chiarisce Cuno Jacob Tarfusser, sostituto procuratore generale di Milano, già giudice della Corte penale internazionale, puntualizzando i motivi della sua richiesta di revisione del processo. “Il compito proprio della professione di magistrato che svolgo da quasi 40 anni – ha spiegato – è cercare di accertare la verità”.



In questa ottica sono emerse lacune e incongruenze circa le prove che reggono la condanna dei coniugi Romano: fra queste le dichiarazioni di Mario Frigerio, unico superstite della strage, viziate dalla sollecitazione delle domande che potrebbero farle ritenere inattendibili. Inizialmente Frigerio aveva infatti parlato di uno sconosciuto dalla pelle olivastra e dalle fattezze tutt’altro che simili a quelle di Olindo Romano che poi in una successiva testimonianza ha invece indicato come suo aggressore. Anche la macchia di sangue trovata sul battitacco dell’auto della coppia incriminata, non risultando agli atti, lascerebbe dubitare della sua effettiva esistenza. E persino “le dichiarazioni auto accusatorie di Olindo Romano e Rosa Bazzi – come si legge nella richiesta di revisione di 58 pagine presentata da Tarfusser – sono da considerarsi false confessioni acquiescenti. Tali conclusioni si fondano sui più recenti ed avanzati dati scientifici che corrispondono ai criteri che, se mancanti, rendono le confessioni, false confessioni”.

A questo punto paiono chiare e incontrovertibili le ragioni per auspicare una revisione del processo volta ad “accertare la verità”: chi si sentirebbe di ostacolare un procedimento che potrebbe restituire contorni più nitidi ai fatti accaduti 17 anni fa che tuttora presentano enigmi irrisolti?

Di contro il procuratore di Como Massimo Astori respinge le accuse mosse al suo ufficio nel corso delle indagini sulla strage di Erba: “La responsabilità di Rosa Bazzi e Olindo Romano è stata affermata nei tre gradi di giudizio – scrive in un comunicato –. I giudici hanno espresso valutazioni ampiamente positive delle prove raccolte dalla pubblica accusa e hanno accolto integralmente nei tre gradi di giudizio le richieste dei rappresentanti dell’ufficio del Pm. La lettura delle corpose e approfondite sentenze che hanno motivato la condanna all’ergastolo di entrambi gli imputati, atto imprescindibile e doveroso per chiunque intenda formulare pubblicamente osservazioni, non lascia spazio a perplessità”.

Commentando la vicenda da queste stesse colonne, Corrado Limentani puntualizza: “È un fatto molto raro che una richiesta di revisione superi il vaglio dell’esame preliminare di ammissibilità: la stragrande maggioranza delle richieste avanzate da soggetti condannati non approda all’udienza, viene dichiarata inammissibile in via preliminare. Se i giudici della Corte di Appello di Brescia, dall’esame preliminare delle nuove prove addotte dai difensori di Olindo e Rosa, hanno avuto solo il minimo dubbio che i veri responsabili della strage possano non essere i due coniugi, non potevano che decidere di accogliere la richiesta di revisione”.

E l’esito di questo nuovo passo verso la verità dei fatti non è scontato o già del tutto delineabile, ma sarà certamente importante e decisivo nel determinare un verdetto sostenuto da prove documentate, fondate e comprovate.

La domanda che resta aperta è una sola: fra la possibilità di aprire una nuova pista di indagini o, al contrario, di mantenere in carcere due innocenti con l’incrollabile certezza che poggia su un “pilastro” traballante, qual è l’opzione più ragionevole?

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