La richiesta di revisione del processo sulla strage di Erba, presentata pochi giorni fa dal sostituto procuratore generale di Milano Cuno Tarfusser, ha innescato un terremoto tra le aule di giustizia e i salotti tv. Il magistrato, ex giudice della Corte penale internazionale dell’Aja, ha condensato in 58 pagine il suo punto di vista sulla condanna all’ergastolo a carico dei coniugi Rosa Bazzi e Olindo Romano, ritenuti responsabili del massacro in tre gradi di giudizio. Autori, secondo la giustizia, della mattanza dell’11 dicembre 2006 in cui persero la vita Raffaella Castagna, il figlio Youssef Marzouk, la madre Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini. L’unico sopravvissuto, marito di quest’ultima, Mario Frigerio, fu teste chiave dell’accusa dopo aver riconosciuto in Romano il suo aggressore. Un racconto che, secondo la difesa di Rosa e Olindo, tesi sposata poi da Tarfusser, sarebbe stato veicolato da un falso ricordo indotto dalle domande suggestive degli inquirenti.



In uno dei passaggi del documento redatto dal sostituto pg, che punta a smontare le “tre prove regine” che furono pietre miliari dell’accusa – la testimonianza del superstite, la macchia di sangue di Cherubini sul battitacco dell’auto di Olindo e le confessioni della coppia -, Tarfusser si focalizza su un punto: gli interrogatori dei coniugi avvenuti l’8 gennaio 2007, quando ancora si dicevano innocenti prima di rendere le dichiarazioni autoaccusatorie che avrebbero contribuito ad inchiodarli al profilo dei killer della corte di via Diaz. Confessammo per disperazione e ignoranza“, sostiene oggi Olindo Romano.



Strage di Erba, Tarfusser sugli interrogatori di Rosa e Olindo: “L’ascolto lascia esterrefatti”

Secondo quanto espresso dal sostituto pg di Milano nell’atto di richiesta di revisione del processo sulla strage di Erba, tra i “vizi” del giudizio a carico dei coniugi ci sarebbe il fatto che, in primo e secondo grado, si sarebbe completamente bypassato quanto accaduto l’8 gennaio 2007, 48 prima delle confessioni della coppia, durante gli interrogatori resi nell’immediatezza del fermo dagli allora indagati Rosa Bazzi e Olindo Romano. “Nessuna delle due sentenze (Corte d’Assise e Corte d’Assise d’Appello, ndr) ne tratta, non hanno alcun valore, sono tamquam non essent – scrive Tarfusser –. Eppure sono, a mio avviso e per quanto dirò, di grande, di fondamentale importanza perché sono propedeutici alle ‘confessioni’. Il semplice ascolto delle registrazioni (non quindi la lettura delle trascrizioni) degli interrogatori lascia esterrefatti“.



Definire “malato” il contesto in cui le confessioni di Rosa e Olindo sono maturate, secondo Tarfusser, sarebbe riduttivo. Già in sede di interrogatorio, quando ancora la coppia protestava la sua estraneità ai fatti, il “contesto ambientale”, si legge nell’istanza firmata dal magistrato, sarebbe stato “caratterizzato da un enorme squilibrio numerico, culturale, emozionale, giuridico. All’interrogatorio dei due fermati, una semianalfabeta e un netturbino, procedono addirittura quattro (!) Pubblici Ministeri e (almeno) un ufficiale di polizia giudiziaria, l’onnipresente luogotenente Gallorini. A difenderli è un difensore d’ufficio che, stando ai verbali e all’audio, è una presenza meramente fisica, di regolarità formale dell’interrogatorio, non certo di effettività che il suo ruolo e la sua funzione imporrebbero“. Per Tarfusser, Rosa e Olindo sarebbero stati sottoposti a un’enorme pressione, soprattutto dal punto di vista psicologico ed emotivo. Pressing e contestazioni “anche al limite della correttezza“, prosegue il sostituto pg, davanti a cui gli allora indagati avrebbero comunque opposto “con veemenza” il loro dichiararsi innocenti. 48 ore prima di confessare, sottolinea ancora il sostituto pg, i coniugi ribadivano di non aver commesso la strage di Erba nonostante intorno si agitasse, sempre più impetuoso, il vento colpevolista.

Secondo la lettura di Tarfusser, soprattutto durante l’interrogatorio di Rosa Bazzi sarebbero stati adottati “metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti“. Accuse pesantissime del sostituto pg riguardo alle modalità di indagine allora condotte. “Di questi due interrogatori, delle domande spesso suggestive, altre volte fondate su presupposti del tutto infondati, scorretti, certamente incompleti, rivolte dai quattro pubblici ministeri ai due fermati non c’è traccia nelle sentenze. Chi le legge – conclude Tarfusser – ricava l’impressione che i due indagati, sottoposti a fermo ed interrogati due giorni dopo dal pm, avessero confessato“. Per la difesa dei Romano-Bazzi, come per il sostituto pg, resta da capire “cosa accadde nelle circa 48 ore tra gli interrogatori dell’8 gennaio e quelli del 10 gennaio 2007. Sul punto, Tarfusser non sembra avere dubbi: “Certo è che i due sono soggetti a qualche ‘manipolazione‘ da parte dei Carabinieri che la mattina del 10 gennaio sono entrati in carcere, apparentemente per prendere le impronte ai fermati, cosa che, per esperienza, viene fatta all’atto dell’esecuzione di un fermo o di un arresto e prima della conduzione in carcere. Attività che comunque non necessita di tre ore (…). Certo è quindi ed infine che non si può convenire con la Corte di primo grado nell’affermazione che si tratti di ‘due confessioni assolutamente spontanee, in nessun modo coartate’“. I consulenti del pool difensivo e il magistrato stesso parlano chiaramente di “false confessioni acquiescenti“.

Il sostituto pg contro la ricostruzione cronologica delle sentenze sull’acquisizione delle tre prove a carico di Rosa e Olindo

Tra le criticità sollevate da Cuno Tarfusser nella sua richiesta di revisione del processo per Rosa e Olindo in merito alla strage di Erba, anche la ricostruzione cronologica dell’acquisizione delle “tre prove regine” a carico, cristallizzata nelle due sentenze di merito, quelle della Corte d’Assise e della Corte d’Assise d’Appello. “Entrambe le sentenze di merito trattano delle tre prove non nell’ordine cronologico in cui sono state ‘accertate’ – si legge nel documento del sostituto pg -. Entrambe infatti trattano e analizzano per prime le confessioni rese dai due imputati per poi affrontare, nell’ordine, la macchia di sangue ed il riconoscimento, la Corte di primo grado, il riconoscimento e la macchia di sangue, la Corte di secondo grado. Un po’ come se queste due prove fossero il corollario che conferma la ‘prova regina’ rappresentata delle confessioni“.

Si tratta di una circostanza che, a detta del magistrato, potrebbe apparire secondaria se non addirittura irrilevante, ma non lo sarebbe affatto dal momento che, ricostruisce Tarfusser, il riconoscimento di Olindo Romano da parte del sopravvissuto Mario Frigeriosi è realizzato in una progressione temporale tra il 15 dicembre e il 2 gennaio” e “la ‘scoperta’ della traccia di sangue” sul battitacco dell’auto dell’allora indagato è “avvenuta tra il 26 dicembre 2006, quando è stata repertata, e il 2 gennaio 2007, quando è stata attribuita a Valeria Cherubini“. “Entrambe queste prove sono, quindi, non solo cronologicamente antecedenti alle due confessioni del 10 gennaio 2007 ma, prima ancora, determinanti per l’emissione del provvedimento di fermo l’8 gennaio 2007 a carico dei due indagati“. Riconoscimento, macchia di sangue e confessioni: questo, conclude Tarfusser sul tema della cronologia di acquisizione delle prove, l’ordine in cui si sarebbe evoluta l’indagine e che, riavvolgendo il nastro della storia e ripristinando l’esatta tempistica delle emergenze probatorie, porterebbe ad una lettura diversa. Forse, al ribaltamento dell’intera vicenda.