Va sempre accolta con favore la decisione di sottoporre ad ulteriore verifica se un soggetto, seppure condannato dopo tre gradi di giudizio, sia veramente colpevole oppure no. Se vi è il solo minimo dubbio che possa esserci stato un errore e che un innocente sia ingiustamente in galera, è assolutamente necessario riprendere in mano le carte e approfondire la ricostruzione dei fatti. E questa principio tanto più vale, quanto più grave è il reato e, di conseguenza, pesante la pena inflitta. Anche se si tratta di un fatto odioso come la strage di Erba dove l’11 dicembre 2006 furono uccise quattro persone inermi (tra di loro anche un bambino di due anni) che nulla di male avevano fatto e che reclama che i responsabili paghino.
Se si vogliono dormire sonni tranquilli bisogna dunque a tutti i costi escludere che siano rinchiuse in carcere da sedici anni due persone innocenti e soprattutto che ci debbano restare per tutta la vita. È un fatto molto raro che una richiesta di revisione superi il vaglio dell’esame preliminare di ammissibilità: la stragrande maggioranza delle richieste avanzate da soggetti condannati non approda all’udienza, viene dichiarata inammissibile in via preliminare. Se i giudici della Corte di Appello di Brescia, dall’esame preliminare delle nuove prove addotte dai difensori di Olindo e Rosa, hanno avuto solo il minimo dubbio che i veri responsabili della strage possano non essere i due coniugi, non potevano che decidere di accoglie la richiesta di revisione.
Nel processo di Erba si è poi verificato un fatto eccezionale: la richiesta di rifare il processo non è partita solo dai difensori degli imputati, ma anche dal pubblico ministero. È stato lo stesso procuratore generale della Repubblica di Milano ad avanzare dubbi sulla responsabilità di Olindo e Rosa e a chiedere formalmente di rifare il processo (attirandosi, tra l’altro, le ire dei propri colleghi). Ma allora, se la stessa pubblica accusa ha dei dubbi sulla responsabilità dei condannati, come non riaprire il caso?
In realtà può ancora succedere di tutto. La Corte bresciana il primo marzo, sentiti il pubblico ministero e gli avvocati, potrà ancora dichiarare inammissibile la richiesta di revisione. Farà ciò se riterrà che le nuove prove richieste dalla difesa (tra cui l’audizione di un nuovo testimone, vicino di casa delle vittime, oltre che nuove perizie che dimostrerebbero che le confessioni degli imputati furono indotte e prove di gravi carenze nel riconoscimento svolto dall’unico teste oculare, Mario Frigerio, sopravvissuto alla strage, ma deceduto anni or sono) manchino del requisito della novità o della idoneità a provocare l’assoluzione del condannato, non residuando in tal caso alcun ulteriore accertamento che giustifichi il prosieguo del dibattimento e lo svolgimento di ulteriore attività difensiva.
Se invece la Corte riterrà che le nuove prove prospettate dalla difesa (e, nel caso specifico, dall’accusa) possono essere idonee a sovvertire il primo verdetto, disporrà di escuterle per poi definitivamente decidere se i due coniugi sono innocenti o colpevoli. Comunque andrà a finire, si potrà dire che la verità processuale avrà fatto passi importanti verso il raggiungimento della verità storica, quanto basta per emettere una sentenza di proscioglimento o di colpevolezza; ma in quest’ultimo caso, oltre ogni ragionevole dubbio.
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