Tra meno di un mese, Rosa Bazzi e Olindo Romano saranno in aula a Brescia per l’udienza dibattimentale nell’ambito della revisione del processo chiesta dal sostituto pg di Milano, Cuno Tarfusser, e dalla difesa della coppia condannata in via definitiva all’ergastolo nel 2011 per la strage di Erba. La data sul calendario è 1 marzo, quando le parti saranno ammesse alla discussione e si valuteranno le “nuove prove” portate a sostegno dell’istanza.
Uno dei legali del collegio difensivo, l’avvocato Fabio Schembri, è intervenuto poche ore fa nella trasmissione Iceberg e ha parlato di alcuni degli elementi che, secondo la loro tesi, dimostrerebbero la totale estraneità dei due al massacro che si consumò nella palazzina della corte di via Diaz l’11 dicembre 2006. Quel giorno morirono quattro persone: Raffaella Castagna, il figlioletto Youssef, la madre di lei, Paola Galli, e la vicina di casa Valeria Cherubini. Unico sopravvissuto, teste chiave dell’accusa, il marito di quest’ultima, Mario Frigerio. In particolare, Schembri si è soffermato su un dettaglio che neppure il Ris di Parma – intervenuto subito dopo la strage – sarebbe riuscito a spiegare (oltre all’assenza di tracce della coppia sulla scena del crimine e di tracce delle vittime a casa deilla stessa).
Strage di Erba, avvocato Schembri: “C’è una cosa incredibile che neppure il Ris spiega”
Il particolare a cui l’avvocato Schembri ha fatto riferimento durante la recente puntata di Iceberg, programma di Marco Oliva, riguarda la confessione di Olindo Romano sulle fasi immediatamente successive alla strage di Erba e cioè quando, insieme alla moglie Rosa Bazzi, spiegò ai magistrati come si sarebbero allontanati dalla scena del crimine e si sarebbero cambiati, lavati e disfatti di indumenti insanguinati e armi. Anzitutto, ha rilevato il legale, nel percorso che i coniugi avrebbero dovuto compiere per uscire dalla palazzina e tornare a casa, attraversando il cortile della corte di via Diaz, non sarebbero state trovate tracce ematiche. Motivo per cui alla difesa appare impossibile che siano riusciti a camminare, grondanti di sangue, senza perdere una goccia: “È una cosa incredibile che neppure il Ris di Parma spiega“.
Ecco cosa disse Romano durante l’interrogatorio: “Finito tutto lì, abbiam preso tutto, le armi, le abbiam messe nella borsa, un sacchetto di plastica che avevo in tasca, e siamo scesi e siamo andati dritti in lavanderia. Quando siamo entrati, sull’entrata c’era un tappeto bello grosso, però sottile, e lì ci siamo cambiati, tutt’e due sul tappeto. Abbiam lasciato lì tutti i vestiti, io ho cambiato tutto, ho tenuto solo gli slip e basta, mia moglie non lo so bene se si è cambiata tutta – ha proseguito –, poi però si è cambiata anche lei tutta, scarpe, tutto compreso (…) siamo usciti“. Il racconto di Olindo Romano proseguì così: “Siamo usciti, ci eravamo cambiati però avevamo le mani un po’ sporche di sangue perché i guanti non erano di plastica, erano di tela e il sangue era passato. Non era tanto il sangue, però diciamo che c’era, il sangue sulle mani un po’ c’era. Allora abbiam detto ‘dobbiamo buttar via la roba e lavarci le mani’ e dovevamo trovare un punto con un po’ d’acqua, in un primo momento siamo andati su ad Albavilla perché io, facendo il servizio lì (di netturbino, ndr) mi ricordavo di un lavatoio (…). Io mi son tolto i guanti dopo che sono entrato dalla porta della mia lavanderia“. Impossibile, secondo Schembri, che non ci fossero tracce di sangue sulla porta né sulle maniglie se davvero Romano tornò a casa con i guanti e le mani insanguinati. Nel corso della confessione, disse anche che, nonostante il sangue sulle mani, nessuno dei due si lavò in casa e che guidò l’auto, subito dopo il massacro, con le mani sporche. Altro dettaglio, per la difesa, impossibile: se avesse toccato il volante, avrebbe lasciato tracce ematiche e invece nulla, a parte la famosa macchia sul battitacco oggetto di aspre contestazioni difensive, neppure una goccia.