Cosa provoca la revisione di un processo? A quanto pare, per molti, fra magistrati, giornalisti, gente comune più o meno irretita nel clamore mediatico di vicende giudiziarie che spesso suscitano la stessa suspense di un thriller, la rimessa in questione di un caso “risolto” sembra provocare generalmente un moto di rigetto, una reazione di fastidio. Così per lo meno è sembrato quando il sostituto procuratore generale di Milano Cuno Tarfusser ha annunciato la sua decisione di formulare – fra l’altro contro il parere del procuratore generale Francesca Nanni – un’istanza di revisione per la Corte d’appello di Brescia sulla strage di Erba.
Dopo 17 anni dall’efferato crimine in cui furono uccisi Raffaella Castagna, il suo bambino Youssef Marzouk, sua madre Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini, l’iniziativa del giudice pronto a sollevare dubbi sulla colpevolezza di Rosa Bazzi e Olindo Romano, condannati all’ergastolo dopo tre gradi di giudizio, ha avuto per molti l’effetto di una scossa di terremoto. Soprattutto ha incrinato certezze a lungo definite granitiche e incontrovertibili circa le prove a supporto della sentenza. Tarfusser nella stessa richiesta di revisione indica la genesi della sua decisione, che prende avvio nell’autunno del 2022 quando gli avvocati Fabio Schembri e Paolo Sevesi, entrambi del foro di Milano, gli chiesero un appuntamento per sottoporgli una questione, così la definirono, “tanto riservata quanto delicata”. Da quel momento, inizialmente stimolato dalla lettura di un libro ricevuto in occasione dell’incontro, il magistrato decise di non fermarsi alle prime impressioni. In effetti Il grande abbaglio scritto da Edoardo Montolli e Felice Manti, pubblicato nel 2008, dallo stile essenziale, ricco di documentazioni, lo portò ad avvertire l’urgenza di far luce sul caso già archiviato, da sempre noto come la “strage di Erba”.
La sola ipotesi che due condannati all’ergastolo, in carcere da quasi 16 anni, fossero irrimediabilmente destinati a subire una pena ingiusta non gli diede più tregua: iniziò così per il magistrato una fase di impegno nell’approfondimento degli atti processuali, con l’ascolto delle intercettazioni ambientali, delle registrazioni degli interrogatori e la lettura delle sentenze. Sono note le 58 pagine della richiesta di revisione del processo presentata da Tarfusser nelle quali vengono messe a fuoco “gravi anomalie” da prendere in considerazione in un’ottica di revisione e di “nuove prove”. “Il materiale probatorio nuovo, così mi hanno assicurato, non solo sarà idoneo a provare l’innocenza dei due condannati, ma getterà una luce completamente diversa sui fatti e su chi e come questi sono stati investigati”.
Intanto oggi l’attenzione mediatica aumenta e l’interesse per una vicenda atroce quanto assurda, come sempre assurda è la violenza dalle radici spesso nascoste e inimmaginabilmente profonde, costringe a non sorvolare su interrogativi già sepolti, su dubbi sommariamente rubricati come insolubili. Non ci si dovrebbe mai limitare alle “prove” acquisite quando la verità appare ancora incerta, nebulosa, non del tutto verificata: oggi un nuovo libro Olindo e Rosa. Il più atroce errore giudiziario nella storia della Repubblica (Algama) di Edoardo Montolli e Felice Manti già nel titolo sembra consolidare l’urgenza di nuovi scandagli in una vicenda giudiziaria complessa nella quale troppi lati oscuri restano da chiarire. Fra l’altro nell’indagine sono state accantonati elementi che avrebbero invece potuto calamitare l’attenzione degli inquirenti: fra questi, il fatto che l’appartamento dei Castagna-Marzouk fosse un punto strategico per il traffico di droga e che non erano mancati indizi che avrebbero potuto anche solo insinuare l’ipotesi che il movente del crimine potesse essere collegato a un regolamento di conti fra bande rivali nel controllo del mercato dello spaccio.
Eppure, secondo una obiezione affiorata in molti, il dubbio sulla colpevolezza di due persone condannate all’ergastolo dopo tre gradi di giudizio, appare eccessivo, come può sembrare un controsenso ipotizzare l’innocenza di due persone che a un certo punto hanno confessato di aver commesso il crimine.
In tal senso è fondamentale conoscere nuove acquisizioni, considerando che la confessione, per quanto considerata una “prova regina”, a volte non è attendibile: illuminante in tal senso è il chiarimento di Giuseppe Sartori, ordinario di neuropsicologia e psicopatologia forense, in riferimento a “studi scientifici recenti, effettuati su oltre 375 innocenti certi, precedentemente condannati e assolti in revisione (con la prova del Dna), che hanno dimostrato incontrovertibilmente come il 25% di questi avessero, in origine, falsamente confessato”. La confessione dell’innocente è quindi un evento più frequente di quanto si pensi e nel caso dei rei confessi della strage di Erba la probabilità di innocenza sembra aumentare: “un’analisi effettuata sulla documentazione processuale della strage – spiega ancora Sartori– mette in luce come tutti i fattori predisponenti evidenziati dalle ricerche sulle false confessioni si possono reperire in Olindo Romano e in Rosa Bazzi”.
Innumerevoli del resto sono le contraddizioni che smontano prove giudicate improbabili alla luce di un esame più approfondito: dall’inattendibilità delle dichiarazioni di Mario Frigerio, unico superstite che aveva indicato in Olindo Romano il suo aggressore, alle confessioni compiacenti dei due imputati, fino alla macchia di sangue di una delle vittime repertata nell’auto di Romano, dall’incerta individuazione, rinvenuta dai carabinieri di Como e non dai RIS di Parma che non trovarono alcuna traccia di Olindo e Rosa nel palazzo della strage e nessuna traccia delle vittime in casa loro.
E mentre nei talk show il dibattito si accende sui tanti aspetti di una sentenza che sembra aver evidenziato lacune profonde e inquietanti, il solito tifo da stadio fra innocentisti e colpevolisti rischia di oscurare pesantemente il vero tema, l’aspetto più importante e drammatico di una vicenda che interpella a riconoscere assoluto privilegio alla ricerca della verità, una verità da perseguire e riconoscere “oltre ogni ragionevole dubbio”.
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