Edoardo Montolli, giornalista che con il collega Felice Manti conduce da anni una controinchiesta sulla strage di Erba, ha intervistato per Fronte del Blog il sostituto procuratore generale di Milano Cuno Tarfusser, che per primo ha chiesto la revisione del processo. Un documento importante che arriva quando manca ormai poco all’udienza potenzialmente decisiva in Corte d’Appello a Brescia – fissata per il 10 luglio prossimo – e una manciata di settimane al suo pensionamento.
Il magistrato è convinto che non vi siano elementi concreti sulla Strage di Erba per ritenere Rosa Bazzi e Olindo Romano, all’ergastolo in via definitiva e in carcere da 17 anni, colpevoli oltre ogni ragionevole dubbio. Contro di lui, dopo il deposito dell’istanza per la riapertura del giudizio sulla coppia ritenuta responsabile del massacro del 2006 nei tre gradi ordinari, si è scatenata una bufera che ha visto addirittura il suo “capo”, la procuratrice generale Francesca Nanni, remare in direzione opposta e proporre un parere di inammissibilità ai colleghi bresciani che, di fatto, non ha alcuna capacità di impedire che un simile atto vada in porto. Infatti, nonostante Nanni ritenesse inammissibile la richiesta di Tarfusser, non poteva non trasmetterla a chi di competenza per vagliarla. Ha però segnalato il sostituto pg facendolo finire davanti al Csm per un procedimento disciplinare sfociato nella sanzione della censura, un esito contro cui lui ha annunciato ricorso. Ma non solo: a Montolli, Tarfusser ha svelato di avere avviato un’azione legale proprio contro la pg Nanni.
Il sostituto pg contro la procuratrice generale Nanni: “Ho scoperto delle cose sulla Strage di Erba…”
Tarfusser ha dichiarato che ricorrerà contro la censura imposta dal Csm, ma c’è dell’altro relativamente agli eventi che avrebbero portato al procedimento disciplinare a carico del magistrato su impulso della pg di Milano Francesca Nanni. “Rileggendo gli atti e le dichiarazioni rese come testimone dal procuratore generale nel processo disciplinare a mio carico, ho scoperto delle cose che ho evidenziato in un atto separato che ho trasmesso alle autorità competenti“.
Alla domanda di Montolli se abbia presentato una denuncia contro la procuratrice generale del capoluogo lombardo, il magistrato ha risposto in modo conciso ma chiaro: “Ho fatto una segnalazione in questo senso, sì“. Quale sia il contenuto delle “scoperte” che lo avrebbero spinto a denunciare, non è ovviamente cosa nota.
“L’ombra di un magistrato dietro la Waylog”, società che ebbe a che fare con le intercettazioni sulla strage di Erba
Nell’intervista rilasciata a Edoardo Montolli dall’ex giudice della Corte penale internazionel dell’Aja Tarfusser, pubblicata integralmente sui canali web, social e YouTube di Fronte del Blog, ci sono alcuni passaggi che gettano una ulteriore luce inquietante, al netto dei dubbi sollevati dalla difesa di Olindo Romano e Rosa Bazzi sulle indagini e sulle condanne, sulle modalità con cui furono gestite le intercettazioni nell’inchiesta sulla strage di Erba. Tarfusser arriva a sostenere che ci sia lo spettro di qualche toga dietro la società che ebbe a che fare con le intercettazioni sulla mattanza dell’11 dicembre 2006, la Waylog. Uno scenario che, se confermato, avrebbe dell’incredibile e aggiungerebbe un elemento sconvolgente al già complesso mosaico di dubbi sulle modalità con cui furono condotte le indagini e le intercettazioni all’epoca.
Per capire la portata della rivelazione sulla Strage di Erba del sostituto pg di Milano, occorre fare un passo indietro e risalire, attraverso l’inchiesta giornalistica di Montolli e Manti, “Il grande abbaglio”, alla ricostruzione della gestione di quelle registrazioni ambientali. Come sottolineato dai due giornalisti, furono svolte dalla società “Sio” di Cantù ma furono consegnate alla difesa dalla Waylog. Il bilancio del lavoro arrivato sul tavolo dei legali e dei consulenti dei Romano-Bazzi, però, sarebbe la fotografia di una situazione senza precedenti nella cronaca giudiziaria: manca il 50% delle intercettazioni relative al supertestimone Mario Frigerio e “moltissime – ha ribadito Montolli –, in date cruciali, di Olindo Romano e Rosa Bazzi“. Una parte della società Waylog, secondo quanto evidenziato dal giornalista, “risulta sconosciuta allo Stato, ovvero schermata dietro una fiduciaria svizzera“. Una situazione che non dovrebbe esistere per legge. Secondo Tarfusser, si tratta di un “vulnus pazzesco” nel processo: “La cosa gravissima è che di questa mancanza di gran parte delle intercettazioni non solo non si parla, ma la si utilizza contro i coniugi. È qualcosa che non esiste, sotto il profilo tecnico, negli atti per colpa di qualcuno evidentemente, non certo dei due condannati, e lo si usa contro di loro quando si dice che non parlavano della strage per 4 giorni di seguito. Non è che non ne hanno mai parlato, non ci sono le intercettazioni“. Nessuno indagò mai sulla sparizione delle registrazioni né si approfondì compiutamente il ruolo della società: “È stata fatta un’ispezione del Ministero della Giustizia senza arrivare a una conclusione, ma sappiamo che i procedimenti disciplinari sono molto selettivi – ha puntualizzato Tarfusser –, cioè si colpiscono solo quelli che si vogliono colpire e non tendenzialmente tutti i magistrati…“.
“Prove farlocche portarono alla condanna di Rosa Bazzi e Olindo Romano”
Tarfusser si è detto “orgoglioso” di aver presentato richiesta di revisione del processo e tra poche settimane si saprà se la Corte d’Appello di Brescia aprirà alla fase dibattimentale con l’ammissione delle nuove prove portate dalla difesa della coppia condannata. Ha definito “farlocche” quelle sostenute dall’accusa a loro carico, puntando l’attenzione sui tre cardini dell’impianto accusatorio: la testimonianza di Frigerio, a suo dire indotta dalle suggestioni dell’allora comandante della Stazione Carabinieri di Erba, Luciano Gallorini, la macchia di sangue sul battitacco dell’auto di Olindo Romano e le confessioni. Secondo il magistrato, nelle prove che hanno portato alla condanna “non torna nulla“: “Il riconoscimento è frutto di un continuo inculcare, nella testa di Frigerio, la figura di Olindo (…). La macchia sull’auto poi è ridicola, semplicemente non c’è. In un sistema anglosassone non sarebbe stata neanche ammessa: non c’è la prova del prelievo, non c’è catena di custodia, abbiamo solo una fotografia da cui non si vede nulla. È una prova inesistente, è esistita solo per giustificare i provvedimenti di fermo“.
Sul nodo confessioni, Tarfusser non ha dubbi e lo ha ribadito ai microfoni di Edoardo Montolli: “Le due sentenze di merito aprono le motivazioni partendo dalle confessioni, ma questo è sbagliato perché in realtà sono conseguenza del provvedimento di fermo e dell’arresto che fonda già su due prove farlocche. Le confessioni erano assolutamente necessarie ai pubblici ministeri perché senza quelle, il gip non avrebbe neanche potuto convalidare i fermi, certamente non quello della Bazzi”.