Cuno Tarfusser, il sostituto procuratore generale di Milano che per primo ha avanzato istanza di revisione del processo sulla strage di Erba, è convinto che le prove che hanno inchiodato Rosa e Olindo al profilo degli autori del massacro non stiano in piedi. Secondo il magistrato, sottoposto a procedimento disciplinare perché accusato dalla procuratrice generale Francesca Nanni di non essere legittimato a chiedere la riapertura del caso, il “vulnus” dell’intero impianto accusatorio a carico della coppia sarebbe uno e ne ha parlato durante un incontro organizzato da Nerocrime alla mostra “Serial Killer Exhibition” del 27 gennaio scorso, trasmesso su YouTube. Per il sostituto pg, che ipotizza l’ombra di un clamoroso errore giudiziario ai danni di Rosa Bazzi e Olindo Romano, la macchina investigativa si sarebbe mossa in senso opposto a come dovrebbe: “Si è fatto un percorso inverso, non si sono cercate le prove e non si è elaborato il materiale probatorio man mano che si acquisivano per individuare, sulla base di questi, gli eventuali colpevoli, ma si è individuato il responsabile e poi si è cercato di ‘formare le prove’, stavo per dire di ‘manipolare’, in modo tale che portassero in quella direzione“.
Tarfusser ha scritto la prefazione di un libro sulla strage di Erba scritto a quattro mani dai giornalisti Edoardo Montolli e Felice Manti – i primi a sollevare dubbi sul coinvolgimento della coppia addirittura in costanza di dibattimento – e proprio in questa sede ha ribadito di aver chiesto la revisione del processo dopo un attento studio degli atti, con la profonda convinzione di aver semplicemente svolto il suo ruolo di magistrato per amore di verità e giustizia. “Più mi inoltravo nella lettura – scrive Cuno Tarfusser – più si faceva in me strada l’angoscia al solo pensiero che, se quanto stavo leggendo era vero, due persone non colpevoli sono in carcere dal gennaio 2007“. Nelle sue 58 pagine di istanza di revisione depositate alla Corte d’Appello di Brescia, il sostituto pg di Milano ha messo in discussione tutta l’architettura dell’accusa a carico dei coniugi sostenendo che le “prove” che li hanno incastrati – il riconoscimento da parte di Mario Frigerio, la macchia di sangue e le confessioni – sarebbero maturate addirittura in un contesto che “definire malato” è “esercizio di eufemismo”. Tarfusser si spinge oltre e mette persino in dubbio l’esistenza stessa della traccia ematica sul battitacco dell’auto, quel sangue attribuito a Valeria Cherubini (una delle vittime della strage, ndr) mai documentato fotograficamente in sede di rilievi. “È arrivato il momento che il brigadiere Fadda ci dica cosa ha visto“, ha dichiarato l’avvocato Fabio Schembri, uno dei legali della coppia, sottolineando proprio il nodo delle criticità nella repertazione dell’unica traccia scientifica nell’alveo delle prove sostenute dall’accusa.
Strage di Erba, un uomo sconosciuto fuori dal palazzo la notte del massacro?
Nel loro ultimo libro sul caso strage di Erba, i giornalisti Montolli e Manti si soffermano su un elemento che aggiungerebbe ulteriori ombre sulla verità processuale che portò Rosa Bazzi e Olindo Romano alla condanna definitiva all’ergastolo. Secondo quanto riportato dagli autori, da anni impegnati a sostenere la tesi del “grande abbaglio” giudiziario che vedrebbe i coniugi scontare una pena ingiusta, la notte del massacro, l’11 dicembre 2006, intorno alla “palazzina del ghiaccio” in via Diaz, dove si consumò la mattanza, ci sarebbe stata una misteriosa presenza.
Stando a quanto riportano i due giornalisti nella loro controinchiesta sulla strage di Erba, quella notte, dopo aver sentito già alle 18 dei rumori sospetti provenire dal piano di Raffaella Castagna (cioè dall’appartamento in cui si è consumato il massacro, in orario in cui la casa doveva risultare invece vuota), la famiglia di siriani che viveva proprio sotto sarebbe stata allertata da un soggetto extracomunitaro rimasto finora ignoto. In particolare, il condomino siriano, scrivono Montolli e Manti, “aveva dichiarato che un ragazzo sui venticique-trent’anni, molto più giovane del vigile del fuoco Bartesaghi (primo intervenuto sul posto per il rogo, ndr), gli aveva bussato alla finestra della cucina per avvertirlo dell’incendio, invitandolo a uscire. E lui, presa la sua famiglia, se n’era andato“. Anche il vigile del fuoco, secondo questa ricostruzione, avrebbe visto lo stesso giovane e non sarebbe stato riconosciuto quale residente nella stessa palazzina. “Questo soggetto – si legge in un passaggio della ricostruzione di Montolli e Manti – fungeva da ‘palo’ e non venne in alcun modo individuato“, ma qualcun altro lo avrebbe visto fuori dal palazzo, davanti al cancello. Faceva parte di un presunto commando nello spettro della pista alternativa che la difesa sostiene a discarico dei coniugi (cioè quella di un regolamento di conti tra bande dedite al traffico di droga, ndr)? Un’altra domanda, questa, che per chi assiste la coppia potrebbe trovare una risposta in sede di revisione.