La trasmissione Le Iene è tornata ad occuparsi – ieri sera – della strage di Erba che presto potrebbe tornare protagonista delle pagine di cronaca in virtù dell’istanza di revisione del processo per Rosa Bazzi e Olindo Romano (ad oggi ritenuti colpevoli da tutti e tre i gradi di giudizio) che potrebbe riaprire l’ennesimo caso dopo le recenti svolte nei casi di Chiara Poggi e Serena Mollicone, con l’obiettivo di mettere in fila tutti i numerosi dubbi che ancora oggi permeano la strage di Erba: al di là della realtà processuale, a ben guardare l’intero caso e la conduzione delle indagini i buchi – e qualcuno direbbe le voragini – sono veramente troppi.
Entrando subito nel merito dei dubbi, la trasmissione di Italia 1 evidenzia innanzitutto che la notte della strage di Erba vennero repertate alcune importanti prove a partire da un DNA sotto alle unghie del piccolo Youssef, passando poi per due capelli – uno chiaro ed uno scuro -, per un accendino, dei mozziconi di sigaretta e le giacche delle quattro vittime: prove – appunto – repertate ma mai analizzate, con un via libera alle analisi che arrivò solamente nel 2018 da parte della Cassazione; salvo scoprire che quella stessa giornata un cancelliere del tribunale le aveva portate a far distruggere.
Tutti i dubbi e i misteri irrisolti della strage di Erba che potrebbero assolvere Rosa Bazzi e Olindo Romano
Al di là delle misteriose prove mai analizzate, nella strage di Erba vennero anche ignorati parecchi testimoni che avrebbero potuto scagionare Rosa e Olindo: tra i tanti uno che disse di aver visto delle persone straniere fuori dalla corte di Erba all’ora degli omicidi che parlavano in arabo ed erano in compagnia di quello che ritenne essere il fratello della vittima; oppure un alto che noto i medesimi extracomunitari allontanarsi dalla corte; senza dimenticare il narcotrafficante che scrisse alla procura sostenendo di poter scagionare Olindo e Rosa e che non venne mai richiamato con l’ipotesi che fosse “alla ricerca di notorietà”.
E similmente, lo stesso Mario Frigerio che inizialmente disse di aver incontrato sulle scale durante la strage di Erba una persona di “carnagione scura“, salvo poi – per ragioni mai veramente chiarite – cambiare versione e sostenere che fosse “l’Olindo”: tesi avvalorata peraltro dallo psichiatra Cetti che in quei giorni ebbe in cura il testimone e che alle Iene ha confermato che “non mi ha mai detto che fosse l’autore della strage”.
Eppure, tra tutti questi dubbi è soprattutto uno a poter far cadere l’intero impianto accusatorio a carico dei coniugi per la strage di Erba, ovvero la macchia di sangue rilevata sul battitacco dell’auto di Olindo Romano che seconda la difesa – addirittura – non esisterebbe.
Rilevata per la primissima volta ben 14 giorni dopo la strage (e non la notte stessa) da parte di Brigadiere del Nucleo operativo (e non dai RIS) che la repertò senza scattare nessuna foto al buio facendo cadere il prerequisito necessario per far funzionare il luminol; con il brigadiere – intervistato dalle Iene – che ha spiegato che “non fu scattata”, oppure che “non è stata impressa”, ma anche che “fu scattata e messa sul CD dato alla procura” dando tre diverse versioni incoerenti tra loro.