La famigerata “giustizia ad orologeria”, invocata – a sproposito – dalla nota anonima di palazzo Chigi della scorsa settimana e che tanto clamore aveva sollevato, restituisce con gli interessi al governo quanto le era stato imputato, consentendo alla premier di annunciare l’imminente emanazione di una norma di interpretazione autentica che chiarisca cosa debba intendersi per “reati di criminalità organizzata” per evitare che gravi reati restino impuniti e dei processi siano messi a rischio per effetto della sentenza dello scorso anno delle Sezioni Unite le cui motivazioni sono state solo di recente depositate. Il tutto, alla vigilia della commemorazione della strage di via D’Amelio, appuntamento a cui la premier rischiava di presentarsi delegittimata dalle polemiche rinvigorite dall’esternazione del ministro Nordio sul concorso esterno.



Insomma, una vera manna dal cielo o se vogliamo una gran bella occasione di riscatto mediatico.

Proviamo a capirne di più, procedendo a ritroso. In seno all’ultimo CdM di due giorni fa, la presidente del Consiglio ha potuto citare i passaggi di una recente sentenza ritenuta in grado di creare concrete ricadute nei processi di criminalità mettendo in discussione l’interpretazione di tale concetto.



Il nostro sistema giudiziario penale prevede una distinzione tra reati di criminalità organizzata e altri reati: il così detto “doppio binario”, in gran parte ispirato dal lavoro che fu di Falcone e Borsellino. Per i reati di criminalità organizzata è consentito un uso più esteso e incisivo degli strumenti di indagine, considerata la difficoltà di rintracciarne le prove.

Invero, in estrema sintesi, già a partire da una sentenza del 2016 (Scurato), la giurisprudenza ha ristretto la nozione di criminalità organizzata ai soli reati associativi, anche non mafiosi, con l’esclusione del concorso di persone nel reato anche se aggravato. In realtà, la Suprema corte ha quindi semplicemente confermato quanto già stabilito in precedenza con altre decisioni; tuttavia, l’assist al governo non poteva cadere in un momento più opportuno e una accorta gestione della comunicazione ha ben saputo veicolare il messaggio all’opinione pubblica esattamente opposto a quello generato dalla poco accorta dichiarazione del ministro Nordio sul concorso esterno.



Ed eccoci al secondo passaggio della ricostruzione delle convulse polemiche dei giorni scorsi legate alla giustizia.

Il ministro, costantemente oggetto di un bombardamento mediatico a causa soprattutto di una certa sovraesposizione generata da un eccesso di leggerezza, su precisa domanda sulla condotta di concorso esterno, ha espresso la convinzione della necessità di tipizzare la relativa fattispecie a suo giudizio non sufficientemente stabilizzatasi nella giurisprudenza. Ebbene, se sul piano giuridico l’opinione espressa dal ministro può apparire non pienamente convincente proprio in considerazione che dopo le fortissime oscillazioni giurisprudenziali durate anni e che hanno non a caso prodotto anche una sentenza della Corte europea sulla vicenda Contrada, l’interpretazione si è andata via via consolidando, non v’è dubbio che sul piano politica quella esternazione è apparsa del tutto non appropriata e non a caso si è trasformata mediaticamente nella volontà dell’abrogazione del concorso esterno, invero mai palesata dal Ministro, come si evince facilmente dalla lettura della sua intervista rilasciata al Corriere.

La frittata era comunque fatta e per ridurre la sovraesposizione che ne è derivata, Nordio, su impulso di Mantovani, è stato poi costretto ad un ulteriormente chiarimento con il quale ha dichiarato che infondo il problema del concorso esterno è essenzialmente tecnico, precisando che ad ogni buon conto la sua revisione non fa parte del programma di governo, ed infatti non era stata prospettata nel discorso alle Camere all’inizio del suo mandato.

La sensazione è che, fra una dichiarazione più agguerrita e un’altra più conciliante, si sia iniziata a giocare la vera partita sulla giustizia: partita o meglio scontro che ha certamente ad oggetto la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri e la rimodulazione della responsabilità dei magistrati.

Certo, le obiezioni sull’abolizione dell’abuso d’ufficio sono all’attenzione del Presidente Mattarella che ne ha già parlato con la premier per il rischio che dopo la sua approvazione la legge venga rispedita al Parlamento perché in contrasto con le convenzioni internazionali anticorruzione sottoscritte dall’Italia, ma il vero scontro, ne siamo certi deflagrerà in autunno per ben altre questioni rispetto all’abrogazione dell’abuso d’ufficio.

Nel frattempo, questo 19 luglio non sarà il giorno dell’incoronazione di Giorgia Meloni da parte di quel pezzo del mondo dell’antimafia che l’ha vista crescere e al quale lei ha aderito da ragazza; quanto meno, a fronte delle polemiche dei giorni scorsi, la premier è riuscita ad evitare, grazie ad una abile gestione della comunicazione, che l’anniversario della strage di Via D’Amelio diventasse una grana fino al punto da dover rinunciare alla partecipazione alle diverse commemorazioni.

La dichiarata assenza alla fiaccolata, se per un verso non la esporrà a potenziali contestazioni, per altro verso pare atto opportuno nella veste di presidente del Consiglio. Certo, nel discorso di insediamento al Parlamento, ella ebbe modo di ricordare che ha iniziato a fare politica a 15 anni, proprio il giorno dopo la strage di via D’Amelio, ribadendo come la sua passione politica sia nata dall’esempio di quell’eroe.

Oggi, all’appuntamento per la trentunesima commemorazione del giudice Borsellino ci arriva con un po’ di affanno: i casi giudiziari che hanno colpito il suo partito, l’approccio poco accorto di Nordio su temi sensibili per l’opinione pubblica e il gioco antagonista di Salvini, inducono la premier ad adottare una linea di prudenza: ha bisogno di tempo per provare a sistemare le cose e rasserenare il clima, almeno quello relativo allo scontro con i magistrati.

Ci permettiamo tuttavia di sussurrare alla premier che potrebbe avere una straordinaria chance per onorare quell’eroe e dare piena luce alla sua azione politica: provare con tutte le sue forze a fare piena chiarezza su quella strage, le cui ombre persistenti oltre che a non diminuire con il passare del tempo, al contrario continuano a inquinare le sorti della Repubblica.