Nell’ultima puntata stagionale de Le Iene, Antonino Monteleone è tornato con un nuovo servizio sul caso della strage di Erba. Per l’occasione ha incontrato il maresciallo Luciano Gallorini, l’uomo che ha condotto le indagini sulla terribile strage nella quale persero la vita tre donne ed un bambino e per la quale furono arrestati e condannati all’ergastolo i vicini di casa e coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi. Fu proprio Gallorini, dopo un mese di investigazione, ad incastrare coloro che sono definiti i due colpevoli ma è anche colui che si rese protagonista di una serie di circostanze venute alla luce proprio grazie a Le Iene e che hanno prodotto non pochi dubbi su come andarono le indagini e sulla vera colpevolezza dei due coniugi. Dubbi sollevati anche da Rosa Bazzi, intervistata nelle passate settimane del giornalista nel carcere di Bollate che non ha riservato parole tenere nei confronti del maresciallo che, a detta della donna, avrebbe messo “due persone stupide in carcere”. “Non è andato a guardare bene, avevano fretta di chiudere le indagini, puntiamo su di loro”, diceva la Bazzi nell’intervista. Monteleone ha dato la possibilità al maresciallo Gallorini, ormai in pensione, di poter dire se oggi c’è o meno qualcosa che non rifarebbe in quello che ha fatto nell’inchiesta sulla strage di Erba e gli ha posto una serie di domande proprio la sera della celebrazione per il suo pensionamento.



STRAGE ERBA, LE PISTE ALTERNATIVE IGNORATE

In passato, il maresciallo Gallorini si era sempre rifiutato di rilasciare interviste, per le quali Le Iene avrebbero dovuto chiedere il permesso alla procura ed al comando generale. Ma all’epoca della strage di Erba, come mai puntò tutto sui coniugi Rosa e Olindo, senza quindi analizzare ulteriormente le altre piste investigative? Nel primo mese di indagini, quindi prima dell’arresto di Rosa e Olindo, secondo quanto emerso il maresciallo aveva in mano due testimonianze che porterebbero in una direzione del tutto differente rispetto a quella dei due coniugi. Si parla infatti di un tunisino senza fissa dimora e conoscente di Azouz, sentito dai carabinieri per due volte ma mai a processo poichè definito “irreperibile”. In mano a Gallorini anche la testimonianza di un elettricista che abita anche lui in via Diaz, Manzeni Fabrizio. Entrambi gli uomini, pur non conoscendosi, rilasciarono una testimonianza con molti punti in comune: la presenza di persone sospette che in maniera concitata si sarebbero allontanate dal luogo della strage. Secondo Manzeni si trattava di extracomunitari, mentre il tunisino parlò di un furgone in piazza del mercato, con a bordo 2-3 persone che parlavamo di benzina e che avrebbe visto allontanarsi velocemente dopo aver sentito pronunciare “Aia fisa”, che in arabo significa “vieni subito”, forse rivolto ad un’altra persona nelle vicinanze. Le due testimonianze che potrebbero far pensare ad un commando tunisino in azione, non furono subito trasmesse in procura ma sono ferme alla stazione di Erba per alcuni giorni.



I DUE TESTIMONI MAI SENTITI A PROCESSO

Le Iene hanno provato a raggiungere i due testimoni mai sentiti a processo. Il tunisino ha confermato a Monteleone la sua testimonianza di molti anni fa: “dietro di me ho trovato un furgone bianco e loro parlavano in arabo”. L’uomo si è detto disponibile a ribadire tutto alle autorità italiane. Contattato anche il vicino di isolato, l’elettricista, il quale ha raccontato: “Io abitando là ho detto una roba ai Carabinieri, hanno valutato la situazione. Per me la storia è finita quando ho fatto la deposizione e più nessuno mi ha contattato. Io ho detto quello che ho visto quel giorno e basta”. Ma come mai il tunisino fu definito irreperibile se proprio durante il processo a Rosa e Olindo, in realtà, lui era detenuto in Italia? Manzeni, invece, non fu mai richiamato dai carabinieri né mai ammesso al processo nonostante le richieste della difesa. Eppure le loro testimonianze sulla presunta pista degli extracomunitari, riportano ai primi ricordi di Mario Frigerio, il supertestimone che fece mettere a verbale proprio la frequentazione della casa dei Castagna di “extracomunitari di etnia araba”.



TUTTI GLI ALTRI DUBBI

Pochi giorni dopo, il maresciallo Gallorini andò a trovare Frigerio in ospedale ma non puntò all’uomo di carnagione olivastra di cui aveva precedentemente parlato bensì al vicino Olindo Romano. Un colloquio in cui lo stesso maresciallo ripete al testimone il nome di Olindo per ben nove volte. Dopo quell’incontro Frigerio cambierà il suo racconto e inizierà a dire che il suo aggressore era Olindo Romano, “ricordato sin da subito”. Quel colloqui suggestionò il superteste? I dubbi persistono anche da parte di alcuni esperi. In aula però, Gallorini sostenne sotto giuramento di non aver mai fatto il nome di Olindo con Frigerio, ed anche nella recente intervista di Monteleone, l’ormai ex maresciallo ha confermato: “Assolutamente no, lei deve leggere la mia annotazioni che avete utilizzato in maniera negativa”. Ancora dubbi, secondo la difesa di Olindo e Rosa, ci sarebbero anche in merito alla seconda prova che avrebbe portato alla loro condanna, ovvero la macchia di sangue di Valeria Cherubini trovata sul battitacco lato guida trovata sull’auto dei Romano e l’unica prova scientifica che lega la coppia alla scena del crimine. Secondo chi ha studiato le carte, però, quella macchia potrebbe essere giunta per contaminazione. Sulla testimonianza a processo di Gallorini, lo stesso spiegava l’anomalia del verbale firmato da chi materialmente non aveva eseguito la perquisizione: “noi siamo un gruppo di lavoro e il gruppo sottoscrive…”. Dubbi anche sulla sparizione di una intera settimana di intercettazioni ambientali di Frigerio. “Si riveda il processo”, è la sola spiegazione che Gallorini ha dato a Monteleone.

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