Se non ci fosse da piangere, ci sarebbe da ridere. Di fronte alla strage di 19 bambini e due insegnanti, in una scuola di Uvalde, Texas, tutto quello che il procuratore generale dello Stato ha saputo dire è stato: “Non possiamo fermare i cattivi dal fare cose brutte. Ma possiamo armare e preparare gli insegnanti a rispondere rapidamente. Secondo me questa è la risposta migliore”.



È una resa, ma anche l’attestazione di una mentalità radicata, come ci ha detto in questa intervista Paolo Crepetpsicologo specializzato in problematiche educative giovanili: “La causa di questa nuova strage è insita nella cultura americana, che si nutre di mitragliatori regalati a Natale a ragazzi di 16 anni a cui va aggiunta la solitudine devastante di milioni di famiglie. Una cultura secondo la quale se c’è un problema è che ci sono troppe poche armi, perché il bidello di quella scuola avrebbe dovuto ammazzare lo sparatore, Salvador Ramos, appena entrava. Non dicono: abbiamo un problema educativo, sociale e culturale”. Un quadro che non è solo americano. “Anche in Italia le pistole girano tranquillamente – aggiunge Crepet –, c’è una criminalità che non si fa scrupolo di ammazzare bambini per strada, ma anche il vicino di casa perché il cane dava fastidio. Abbiamo importato quella cultura”.



L’autore della strage nella scuola elementare di Uvalde, nel Texas, Salvador Ramos, aveva 18 anni. Veniva da una situazione devastata: madre tossicomane, padre inesistente, vittima di bullismo. C’erano tutti gli elementi che ne potevano fare l’autore di qualcosa del genere. Quanti casi così passano inosservati in mezzo a noi fino al giorno in cui esplodono?

La fermo subito. Ogni volta che succede qualcosa del genere la nostra curiosità, le nostre fantasie, le nostre domande riguardano sempre una psicopatologia che avrebbe colto persone provenienti da famiglie disagiate.

Invece?

La causa di un episodio come questo è molto semplice: è la cultura americana che non è Andy Warhol, non è Bruce Springsteen. Questi personaggi sono la minoranza della minoranza di quella cultura. La cultura su cui si fondano gli Stati Uniti sono Donald Trump, il mitragliatore come regalo di Natale a 16 anni. Poi, va detto, in America c’è una solitudine terrificante, perché se andiamo a vedere non questa famiglia, ma milioni e milioni di famiglie americane, sono tutte sole. Fanno i moralisti ma le famiglie non esistono, sono divise. E infine c’è il condimento finale che è Internet.



Infatti, su Instagram Salvador aveva postato molte foto con in mano armi da fuoco. I social ancora una volta si dimostrano incapaci di contenere certi fenomeni?

No, i social vogliono questi personaggi, se ne alimentano. Questo mix di cultura da Far West, che se ti avvicini al mio cancello ti sparo in testa, avviene non a caso in uno Stato particolarmente estremista come il Texas.

E non a caso il procuratore del Texas ha detto che bisogna armare gli insegnanti, non  proibire la vendita di armi.

Certo, lui ragiona così, vuole una scuola teatro di guerriglia. D’altro canto sono cresciuti per tre secoli con questa mentalità. Noi avevamo Voltaire, loro impiccavano i ladri di cavalli ai rami degli alberi.

È troppo tardi per cambiare questa mentalità?

Potrei rispondere con un “nì”. Noi europei avevamo creduto che si potesse cambiare con gli Obama, i Clinton, non perché venivano dal Partito democratico ma perché ci sembravano vagamente intelligenti e lo erano di sicuro. Se oggi facessimo un sondaggio e votassimo dopodomani sul tema delle armi, sappiamo benissimo che Biden sprofonderebbe. C’è anche questo elemento che è gravissimo, e lo dico con i cadaveri dei bambini ancora caldi: la gente ragiona come il procuratore del Texas. Dicono: se c’è un problema è che ci sono troppe poche armi, il bidello doveva ammazzare il giovanotto appena entrava. Non dicono: abbiamo un problema educativo, sociale e culturale.

L’autore della strage si è fermato per puro caso davanti a una scuola per un incidente alla sua macchina, però le stragi nelle scuole Usa ormai non si contano più, come mai questo obiettivo?

Perché la scuola è, o almeno dovrebbe essere, un luogo dove si viene giudicati, e quindi diventa per certi personaggi luogo della frustrazione. È facile pensare che in una famiglia come quella dell’assassino ci si nutra di violenza.

Anche in Italia la violenza dilaga sempre di più tra i giovanissimi, non è vero?

Non siamo al loro livello però sì, di pistole ne girano. In Italia c’è la mafia e si uccidono anche i bambini per strada. Non solo al Sud le pistole sono qualcosa che conta. Poi c’è il fenomeno delle baby gang, che è il frutto e il figlio di una famiglia totalmente sparita. C’è una linea rossa che mette assieme quello che accade in America e da noi, siamo americanizzati perché la solitudine tecnologica e digitale viene dagli Usa, non viene dal Polo Nord; l’abbiamo importata. È vero che non ci sono stragi analoghe, però non siamo un paese di angeli. Tua figlia esce alla sera e una gang di ragazzine la manda in ospedale.

Che fare?

A Parma fra poco voteremo e uno dei candidati più autorevoli ha messo nel suo programma di mandare l’esercito nelle strade per eliminare il fenomeno delle baby gang. Non sto parlando di politici di destra. Parma è una città che ha una storia di sinistra,  ma è la gente comune, di ogni ideologia che vuole un sindaco così. Questo è il quadro.

(Paolo Vites)

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