Caro direttore,
il suo giornale, anche recentemente, ha dato spazio a commenti inerenti i tragici fatti di Sharon Verzeni e Paderno Dugnano e semplicemente vorrei offrire alcune personali riflessioni.
Tanti, quasi tutti, siamo rimasti come per un istante “sospesi” nel nostro agire o pensare di fronte alla notizia che ci ha raggiunto. È come se, anche per solo il tempo di un battere di ciglia, un “qualcosa” avesse urtato la corazza del nostro vivere quotidiano e avesse incrinato le nostre difese, quei piccoli muri che quotidianamente ergiamo ai confini del nostro perimetro di vita.
No, non era un film o una serie televisiva, ma l’irrompere del male in tutta la sua violenza e irrazionalità attraverso le fattezze non del “diverso-da-noi” (e fino a qui poteva starci) ma del figlio.
No, non era quel gossip da divano estivo della “bella e il ministro” e neanche l’ennesima notizia dell’ennesimo femminicidio al quale oramai dedichiamo (purtroppo) poco tempo e spazio (nostro), ma di un figlio, un ragazzo, come ce ne sono tanti nelle nostre case.
Quella notizia di male che ci ha raggiunto ci fa male, quella incrinatura va chiusa immediatamente o nella distrazione (se tocca altri) o nella ricerca affannosa e tribolata (se ci tocca) del “come-è-potuto-accadere”, di qualcosa che spieghi che dia ragione di quanto accaduto.
Non potrebbe essere, invece, che quella incrinatura non sia altro che una breccia, una piccola feritoia nella nostra corazza attraverso la quale quella stessa realtà ci chiede, interroga e provoca sul significato e senso del nostro vivere?
Che i giornalisti facciano le trasmissioni, che i psicologi cerchino di capire e aiutare la fatica del vivere o che i genitori provino ad educare, è lodevole e giusto; il problema vero è che non si chiuda, in noi, in ciascuno di noi quella breccia di domanda che ci ha raggiunto in quell’istante di contraccolpo, anche solo emotivo, attraverso la drammaticità dell’evento.
Forse è proprio perché si censura questa domanda che la “banalità del male” si fa spazio nelle nostre giornate.
Magari poi è proprio attraverso quel pertugio di domanda che potrebbe affacciarsi la risposta, potrebbe farsi compagnia quotidiana quella Risposta o, come direbbe Camus, “non è attraverso degli scrupoli che l’uomo diventerà grande; la grandezza viene per grazia di Dio, come un bel giorno”.
Nella serie tv The Chosen l’apostolo Giacomo il Minore ha una gamba sghemba che lo costringe ad usare un bastone per camminare. Questo dettaglio non è presente nei Vangeli. Gesù non lo guarisce e al ritorno della missione “due a due” degli apostoli nei paesi vicini c’è un dialogo molto intenso fra Gesù e Giacomo stesso.
Anche noi cristiani siamo feriti e ammalati come tutti, ci domandiamo come tutti i perché della sofferenza, del dolore, della violenza, sentiamo come tutti i nostri fratelli e sorelle il peso del vivere e abbiamo bisogno di Qualcuno che non ci molli.
Come i nonni del nipote omicida.
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