La strage di piazza Fontana nel 1969, cos’è successo?

La strage di piazza Fontana rappresenta uno dei capitoli più atroci e nebulosi della storia del dopoguerra. Una carneficina nel cuore di Milano, l’Italia sull’orlo di un colpo di Stato e l’alba degli “anni di piombo” che apre all’era delle stragi e a quella strategia della tensione che ancora oggi cela risvolti e responsabiltà sommersi. Venerdì 12 dicembre 1969, 37 minuti dopo le 16, una bomba esplose nella sala centrale della Banca Nazionale dell’Agricoltura. Immediata la morte di 14 persone, altre 3 sarebbero decedute in seguito portando il bilancio della carneficina a 17 vittime e 88 feriti.



Quel giorno anche a Roma, negli stessi momenti, si registrò lo scoppio di tre ordigni con decine di feriti. Un intero Paese precipitò nel terrore sull’onda di quell’esplosione di violenze, lasciandosi alle spalle una “innocenza” perduta per sempre. L’accertamento della verità sulla strage di piazza Fontana, dagli esecutori alle trame occulte che hanno curato la regia del massacro, dopo oltre 50 anni e molti processi resta ancora senza colpevoli. Questo nonostante la Cassazione, il 3 maggio 2005, abbia riconosciuto che sarebbe stata realizzata dalla cellula eversiva di Ordine Nuovo guidata da Franco Freda e Giovanni Ventura, non più processabili perché assolti con sentenza definitiva nel 1987.



Gli “anni di piombo” e la strage di piazza Fontana nel 1969: ipotesi su mandanti ed esecutori

La strage di piazza Fontana, avvenuta in un affollato pomeriggio del 12 dicembre 1969 a Milano, è passata alle cronache come primo atto di uno scontro armato, che ha insanguinato il Paese da Nord a Sud, noto come periodo degli “anni di piombo” o “strategia della tensione”. L’esplosione di una bomba nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura, nella sala centrale al piano terra, spazza via 17 vite e con esse il sogno di un’epoca di rinascita. A quell’ora, le 16:37, nella Banca ci sono molte persone, per lo più commercianti di bestiame e mediatori impegnati nelle contrattazioni. Il boato, violentissimo, devasta tutto e odora di attacco al cuore dello Stato. 88 i feriti, secondo il bilancio della strage di piazza Fontana, e tantissimi interrogativi su mandanti ed esecutori in una scena di morte e distruzione sconvolgente.

La pista inizialmente battuta dagli inquirenti è quella degli anarchici, in particolare del Circolo romano 22 marzo di cui fa parte Pietro Valpreda, e quella del Circolo Ponte della Ghisolfa che conta tra i membri il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli, fermato lo stesso giorno e precipitato dal quarto piano della questura dopo 3 giorni di interrogatori. Un decesso misterioso su cui la famiglia ha sempre rigettato l’ipotesi di un suicidio. Qualche anno dopo la morte di Pinelli, nel 1972, il commissario Luigi Calabresi, accusato di esserne responsabile dall’area extraparlamentare e in particolare da Lotta Continua, viene assassinato. Più tardi prende corpo la pista nera e le indagini puntano su elementi di Ordine nuovo, e l’incriminazione di Giovanni Ventura e Franco Freda. In un rocambolesco rimpallo di competenze e motivazioni, il processo viene clamorosamente spostato da Milano a Roma, poi nuovamente nel capoluogo lombardo e infine a Catanzaro. Assoluzione per l’anarchico Valpreda, ma anche per i neofascisti. Nel 2005, dopo una vicenda giudiziaria che ancora oggi non smette di far discutere, la parola “fine” con la Suprema Corte che, nelle motivazioni di assoluzione, conferma però che le indagini portano ad attribuire gli attentati di quel giorno a Ordine nuovo. Per la Cassazione, riporta Ansa in una ricostruzione nel 50° anniversario della strage di piazza Fontana, si può dare una risposta “positiva” al giudizio di responsabilità di Freda e Ventura per l’attentato che fece 17 morti e 88 feriti, ma non sono più giudicabili in quanto già processati e assolti in via definitiva per gli stessi fatti.