Che Mefistofele sia morto pare non interessi. Si continua a cercare negli anfratti delle sua storia tracce di trame nascoste che possano finalmente far sorgere la luce salvifica della verità sulle tenebre del dubbio. Che poi la verità non sia gran bella cosa dovremmo averlo imparato. Ma non è così in questo Paese che si reputa, a torto, pienamente sovrano ma appartiene a contesti e decisioni che ne trasfigurano l’immagine rendendolo un’appendice che non deve dare fastidio.



Cercare ancora “qualcosa” dopo trent’anni sulle bombe del 1993 disponendo perquisizioni e proseguendo nell’attività di indagine, può apparire cosa buona e giusta. Ma a ben vedere quelle stragi paiono destinate a restare confinate nel cono d’ombra che avvolge Piazza Fontana, il sequestro Moro, Ustica e Bologna. O Portella della Ginestra, l’Italicus, il golpe Borghese ed il Piano Solo. Storie tutte vere, nel senso che sono accadute, ma a cui la verità è ostile. Lo è perché la Verità potrebbe farci arrossire. Se stiamo rimasti al posto giusto della cortina di ferro, se siamo stati parte del mondo occidentale forse è anche a causa delle mancate verità che quelle stragi portano con sé.



Ecco perché lo Stato del 2023, che cerca di comprendere con le indagini cosa accadde nel 1993, dovrebbe, forse, iniziare a chiedersi che cosa fece lo Stato del 1993. Cosa fecero i servizi quando trovarono la bomba non innescata sul percorso del presidente del Consiglio Ciampi. Cosa accade la notte in cui Ciampi stesso temette un golpe. E perché Ciampi, “padre della patria”, uomo salvifico, parlò poco – o nulla – di quei fatti. Pur avendo a disposizione tutte le armi dello Stato, comprese quelle segrete.

Se, infatti, le stragi del 1993 furono orchestrate come una nuova strategia della tensione a cui dare soluzione agevolando la crescita di Forza Italia, è certo, se è vero, che ciò accadde davanti agli occhi di quello Stato e dei servizi segreti di altri Stati. Non poteva essere un marchingegno rozzo ideato nelle campagne sicule, né la visione eversiva di un gruppetto di piduisti o presunti tali. Se fu guerra, fu guerra nello Stato, non contro di esso.



Ma può mai uno Stato fare verità su se stesso? Nella storia accade solo con le rivoluzioni, quelle vere. Ma né gli ex comunisti, che hanno avuto accesso ai dossier solo dalla metà degli anni 90, né le forze “rivoluzionarie” della prima Lega di Bossi o dei 5 Stelle di Di Maio hanno aperto cassetti chiusi o trovato verità sconcertanti da rivelare. Il che può voler dire due cose. O non erano forze rivoluzionarie autentiche, ed una volta arrivati al potere lo hanno perpetuato, o che di Verità non ce n’erano da svelare.

In entrambi i casi, comunque, le stragi del 1993 appartengo più alla storia remota della prima repubblica che a quella recente della seconda. Sono certamente, per fattura e atrocità, messaggi inviati da pezzi di potere ad altri pezzi di potere. Pensare che il tutto si riduca a Dell’Utri e Berlusconi pare, francamente, meno credibile. Anzi, rischia di fare un serio favore a chi quella strategia pose in atto ed utilizzò “quel che c’era” per ottenere un semplice e meschino obiettivo: evitare che  la rivoluzione nel Paese potesse travolgerli.

Può tutto questo essere oggetto di un processo? I tentativi precedenti non hanno sortito effetti. Teoremi complessi come quello della presunta trattativa Stato-Mafia sono crollati nelle aule. E sorte simile hanno avuto i tanti tentativi di trovare “i mandanti occulti” di stragi e attentati. Perciò se davvero si volesse accertare una verità storica, oltre quella giudiziaria, dovrebbe esserci un processo di disclosure pubblica degli atti di quegli anni. Una sorta di operazione-verità che la politica dovrebbe guidare con poteri speciali come quelli delle commissioni di inchiesta. Tentare di indagare sulla Storia indagando su personaggi secondari, con i poteri della magistratura, rischia di diventare inutile, se non dannoso. Un assolto in più non farebbe altro che gettare altre ombre su quegli anni. E non lo meritano le vittime, non lo merita la parte perbene del Paese che sa che qualcosa di tremendo ed oscuro è accaduto nel 1993, ma che non può accettare che tutti i presunti mandanti siano, alla fine, innocenti. Almeno nel processo.

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