Una delle serie tv americane più acclamate, con più seguito e fanbase è senza ombra di dubbio, e il riferimento al mondo delle ombre non è casuale, Stranger Things. Il 27 maggio è uscito il vol. 1 della colonna sonora dell’attesissima quarta stagione che si pone come obiettivo quella di rivelare verità celate durante il corso della serie; i personaggi sono cresciuti e cambiati così come sono cambiati i loro problemi, le loro paure e i loro amori. Il male però si annida tutt’ora nella città di Hawkins.
Ambientata negli anni 80 la serie ripercorre gli stili, le mode e i gusti musicali della decade più mitizzata e ri-copiata di sempre.
Oltre al vestiario e all’atteggiamento dei personaggi i fratelli Duffer (regia e produzione) sono attenti alla scelta della colonna sonora che riflette l’estetica del periodo. A cominciare dalla sigla originale composta da Kyle Dixon & Michael Stein, che tutti abbiamo in mente con le quartine iniziali che ci trascinano in un’atmosfera creepy e nostalgica attraverso il suono caratteristico dei synth anni 80, suoni old school arrangiati in una melodia che si radica in testa; la tracklist della nuova stagione è piena zeppa di pezzoni come Object of My Desire degli Starpoint, Should I Stay or Should I Go dei Clash, Detroit Rock City dei Kiss, You Spin Me Round (Like a Record) dei Dead or Alive, Tarzan Boy dei Baltimora o Rock Me Amadeus di Falco, e il grandioso recupero, utilissimo allo sviluppo della trama, del brano Running Up The Hills (A Deal With God) di Kate Bush che è finita incredibilmente in top chart tra gli ascolti di Spotify e di altre piattaforme di streaming.
Questo risponde alla domanda: cosa accadrebbe se un brano dei favolosi anni 80 uscisse oggi? Ma non è sulla colonna sonora in sé che vogliamo porre l’attenzione. Si da il caso che tra i nuovi personaggi presentati nel corso della prima puntata spunti un giovanotto all’ultimo anno di liceo, con i capelli lunghi, la giacca di jeans con le toppe con i nomi delle band, che gioca a D’n’d (Dungeons and Dragons) e partecipa attivamente a un club che si fa chiamare Hellfire Club; insomma è il classico nerd con la passione per il metal e il fantasy. Una cosa però ha attirato la mia attenzione in modo particolare: sulla schiena del giubbetto di jeans c’è una grande toppa visibilissima della band DIO, una formazione heavy metal statunitense che ha come frontman Ronnie James Dio, già conosciuto per il suo esordio con i Rainbow (insieme a Ritchie Blackmore) e la sua militanza nei Black Sabbath. La toppa raffigura la copertina del disco Holy Diver del 1983. La scelta dell’album e del gruppo non è così casuale. Mi spiego meglio. ALLERTA SPOILER. Si scopre che i nuovi omicidi che si consumano a Hawkins vengono eseguiti da un nuovo super-cattivo dal sottosopra di nome Vecna; Vecna utilizza delle ramificazioni nel sottosopra che gli permettono ti trovare delle connessioni con il mondo dei vivi attraverso le angosce e le ansie dei giovani ragazzi vittime della loro stessa mente.
Vecna si insinua nelle menti di questi giovani e una volta presone il controllo li spezza con violenza con una crudeltà inaudita; ritorniamo ora alla copertina del disco. Si vede un demone enorme che si erge da una montagna e avvinghia con una catena un povero prete con gli occhiali ed il colletto bianco in mezzo ai flutti marini; utilizza dei prolungamenti e delle articolazioni tentacolari sia per cercare le vittime sia per essere onnipresente nel sottosopra. Utilizzando due immagini simili ciò che ne scaturisce è un forte senso di straniamento in quanto proprio il ragazzo fissato con il metal più esoterico (gli stessi DIO sono stati accusati più volte di satanismo in quanto il logo del gruppo se posto al contrario traccia le lettere D-E-V-I-L) è colui che viene accusato, da una buona fetta di opinione pubblica, di aver commesso gli omicidi con le sue mani. Ovviamente i protagonisti consapevoli delle forze maligne che operano sulla cittadina non credo a questa narrazione fatta dalla polizia e dai media; cercano piuttosto di aiutare il giovane accusato fino a scagionarlo.
Credo che in fase di progettazione i costumisti e chi si occupa della parte visiva abbia utilizzato questi escamotage per risvegliare nello spettatore un senso di nostalgia di un passato che sentiamo distante ma che allo stesso tempo ci pervade e da cui tutta la cultura pop è scaturita. Citazioni su citazioni quindi atte a trascinarci in un periodo di esplosione artistica in cui l’industria culturale si è consolidata e fossilizzata. Simon Reynolds parla di Retro-Mania, una sorta di ansia perenne che ha caratterizzato la moda e i gusti di generazione in generazione, incastrati in un loop culturale che ripercorre le grandiose decadi di fine ‘900 (forse non è poi così breve come secolo), e che ci porta a ri-vivere le stesse sensazioni ancora e ancora, suscitando dei ricordi di un passato che personalmente non ho nemmeno vissuto ma che ho la sensazione di vivere adesso.
Ovviamente il mondo di internet era agli albori e non esisteva il sistema comunicativo dei social, un bene? Un male? Chissà? Ci si sofferma molto sul fatto che i gruppi sociali che si vengono a creare all’interno della scuola siano determinati e determinanti per le scelte di vita degli adolescenti. Stranger Things ci scaglia in faccia la vita di questi giovani che combattono con le proprie ansie e i loro demoni fino a quando questi non si materializzano. Essendo una serie sci-fi, quindi, non c’è nulla di vero in quello che vediamo, ma se invece il male non fosse poi così distante da noi? I demoni che operano nelle nostre menti hanno il solo obiettivo di vedere la luce e di concretizzarsi attraverso il nostro corpo. Forse i fratelli Duffer vogliono mostrarci come le forze del maligno operino sempre allo stesso modo; come dei tentacoli che si insinuano di cervello in cervello diventando delle malattie sociali sempre più enormi e che creano discrepanze generazionali ed epocali.