Il successo non è altro che la scoperta da parte dei grandi mezzi di comunicazione di massa di qualcosa che esiste già da tempo e che ha messo radici profonde senza che la maggioranza (a volte è solo una minoranza, ma è quella che conta) se ne accorgesse. È, in poche parole, quello che sta accadendo in queste settimane al giovane disegnatore Zerocalcare e alla sua prima opera per la tv Strappare lungo i bordi, apparsa su Netflix il 17 novembre e già saldamente ai vertici di tutte le classifiche.



Nonostante qualche stupida polemica per l’uso di un linguaggio molto realistico (il romanesco assai in voga tra i giovani della capitale, misto a molte parolacce e a qualche neologismo del terzo millennio), l’unanime apprezzamento per la serie è da ricondurre all’efficace racconto di una generazione che è cresciuta in silenzio e che ha fatto sentire troppo poco – fino a oggi – le proprie ragioni.



Questa generazione – i nati dopo il 1990 – è ora chiamata alla prova più difficile, decidere cosa fare della propria vita, rischiando di scoprire che, strappando lungo i bordi tratteggiati da altri della propria esistenza, si sta seguendo una traccia sbagliata. Sarah glielo chiede esplicitamente nelle lunghe chiacchierate seduti sulla panchina del quartiere. “Ma te che obiettivo ti sei dato?”, è la domanda diretta che “devasta” Zero. Ma è anche la ragione che spinge il giovane artista romano a cimentarsi con una serie d’animazione per la tv e a rispondere prendendo a pretesto – come fa quasi sempre nelle sue strisce – un episodio della sua vita, triste e inaspettato.



Con Zero gli altri protagonisti di Strappare lungo i bordi sono dei coetanei, i pochi amici del quartiere. Zero parla spesso anche con il suo Armandillo, la voce – prestata da Valerio Mastandrea – della sua coscienza. Condivide le sue giornate con Sarah e Secco, ragazzi con lavori precari e poche aspirazioni. Alice invece è tornata a Biella, all’improvviso, lasciando Zero nel dubbio di non aver mai avuto modo di chiarire i suoi sentimenti verso di lei.

Scopriremo solo alla fine dei 6 episodi la ragione del lungo viaggio che porta il piccolo gruppo di amici da Roma fino a Biella. La decisione di partire e il racconto di tutte le piccole fissazioni, i veri e propri tic che ormai condizionano i loro comportamenti e la loro esistenza diventano così l’occasione per parlare delle loro reali condizioni di vita: il continuo invio di curriculum per cercare lavoro – “basterebbe un lavoro qualsiasi” – solo per far contenti i genitori. I lavoretti precari – quelli sì che si trovano – per mettere insieme qualche spicciolo, come fare ripetizioni a domicilio a ragazzini svogliati e viziati. Il difficile rapporto con l’altro sesso e la difficoltà a riconoscere e parlare di amore. Fino all’angoscia di perdere il treno che li costringe ad arrivare in enorme anticipo in stazione.

Ma è anche la generazione che ha dovuto prendere delle decisioni senza poter far conto sull’esperienza e l’aiuto degli adulti. Esilarante la metafora della pizza. Zerocalcare è con Secco nella piccola pizzeria di quartiere dove spesso si ritrovano e vorrebbe ordinare qualcosa di diverso dalla solita Margherita. La sua attenzione è catturata dalla pizza gourmet “‘sto cazzo”. Ma non sa di che si tratta, vorrebbe condividerla con l’amico, ma questi non è d’accordo. Alla fine piuttosto che ritrovarsi davanti a una schifezza sceglie la solita pizza senza rischiare anche se così non saprà mai come era quella special.

Una generazione – questo spiega la metafora – costretta a vivere nella precarietà, senza una missione, in un’esistenza costellata di difficoltà, insicurezze e luoghi comuni, eppure una generazione che è stata in grado di riscoprire da sola valori e principi a cui adeguare i propri comportamenti. La tutela dell’ambiente prima di ogni cosa, la solidarietà verso gli amici in difficoltà, il sano realismo di chi si fa poche illusioni e si aspetta sempre di dover affrontare il peggio, armati di tanta autoironia.

Una generazione priva di ottimismo – e come potrebbe essere altrimenti! – cresciuta, come riconosce Antonio Polito nell’ultimo numero di Sette, tra l’attacco delle Torri gemelle e la prima vera guerra dalla fine del secondo conflitto mondiale, la peggiore crisi economica dopo il crollo di Wall Street del 1929 e la pandemia più letale dai tempi della spagnola. E poi ci siamo noi, i boomers, a torturarli, cercando di spiegare loro come dovrebbero vivere. Proprio noi, ex ormai di tutto, sopra i sessanta, che abbiamo goduto e sperperato tutto quello che c’era da sperperare per oltre 40 anni di beato benessere.

L’allegria e le risate e la stessa profonda commozione che si provano nel guardare il cartone di Zerocalcare sono in realtà una pietra tombale su tutto questo. Un modo per dire a tutti noi di lasciarli andare, provare a vivere la loro vita, che sarà sicuramente meno gioiosa, sfarfallona, sperperona di chi li ha preceduti. Ma sarà la loro vita, e soprattutto saranno loro a decidere cosa farne.

La serie è una pietra miliare nel rendere la tv dello streaming ancora più centrale nel nostro futuro di spettatori. Colpisce che tra i prodotti “italiani” questo compito spetti ancora una volta a un film di animazione per adulti. Come lo fu molti anni fa Allegro ma non troppo di Bruno Bozzetto. Anche in Strappare lungo i bordi l’animazione valorizza e rende al massimo l’efficacia del disegno, il tratto dei personaggi, l’esplosione dei colori. Prodotta da Movimenti Production in collaborazione con BAO Publishing per Netflix, rappresenta l’opera prima di Zerocalcare dopo un lungo periodo di sperimentazione. Molto bella anche la colonna sonora originale composta da Giancane e la selezione degli altri brani scelti personalmente dall’autore.

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