L’ultimo bollettino parla di 1.397 contagi in più, altri 11 pazienti in terapia intensiva e 10 morti in più. Secondo la Fondazione Gimbe, il trend è in rialzo da luglio e nell’ultima settimana i ricoveri sono aumentati del 38% e i pazienti in terapia intensiva del 68%. Non solo: il virologo Andrea Crisanti, già consulente della Regione Veneto e direttore di Microbiologia dell’Università di Padova, ha lanciato un allarme: “La riapertura delle scuole e la riapertura delle attività produttive sono un’occasione fantastica per innescare la trasmissione di Covid-19”. Scuola, trasporti, ripresa dell’economia, movide: settembre è il mese della ripartenza, corriamo davvero il rischio di una seconda ondata dell’epidemia? L’aumento di casi, ricoveri e pazienti in terapia intensiva che cosa prelude? “Questi numeri – risponde il virologo Fabrizio Pregliasco – erano purtroppo attesi, perché dalla fine del lockdown ci sono stati, ci sono e ci saranno più contatti, il che significa che il Covid cercherà di continuare nella sua opera. Diciamo che siamo passati da una presenza epidemica a una cosiddetta endemica”.



Che cosa significa?

Il virus è rimasto presente fra di noi, in quota molto più ridotta ma con tendenza a diffondersi di nuovo. Ad oggi siamo riusciti a zittirlo perché finora c’è stata una buona capacità di circoscrivere i focolai. Certo che se, poi, noi abbassiamo la guardia sulle misure di prevenzione e contenimento, come è stato fatto in alcune discoteche quest’estate, si rischia di intralciare l’attività di chi è impegnato a spegnere i focolai.



Con l’arrivo dell’autunno e dell’inverno, stagioni probabilmente più favorevoli al coronavirus, dobbiamo aspettarci una recrudescenza dei contagi?

Il virus riuscirà molto probabilmente a nascondersi tra le varie forme di crisi respiratorie o influenzali tipiche dalla stagione. In più, gli sbalzi termici e il fatto che torneremo a vivere più in casa che all’aperto potrebbero favorirne la diffusione. Tutti fattori che, potenzialmente, rischiano di ridare forza al Covid.

Ma lei ha sempre detto che una seconda ondata non dovrebbe arrivare. Ne è ancora convinto?

Resto ottimista, ma l’obiettivo verso cui far convergere ogni sforzo, in termini organizzativi, deve essere proprio teso a evitarla, per non farci beccare ancora una volta in fallo. Guardo con favore all’Australia.



Perché?

Quest’anno la stagione influenzale è stata più mite che in passato, probabilmente perché l’adozione delle misure anti-Covid – igiene delle mani, mascherine, distanziamento… – ha ridotto la diffusione dei virus respiratori classici. Speriamo succeda anche da noi.

A tal proposito, in vista della stagione autunnale e per evitare quel “rumore di fondo” che non distingue bene tra casi Covid e casi di influenza tradizionale – che in media colpisce dai 4 agli 8 milioni di italiani -, è consigliabile vaccinarsi?

L’aumento della quota di vaccinazioni anti-influenzali sarebbe auspicabile proprio per ridurre la diagnosi differenziale. La vaccinazione non risolve il problema, perché sappiamo che non c’è solo l’influenza, girano altri 262 virus, però aiuta e aiuterebbe anche la vaccinazione contro lo pneumococco.

La vaccinazione è utile solo per gli over 65 o anche per bambini e giovani?

È un’opportunità per tutti, ma diventa una stringenza per i soggetti più fragili, sempre per gli effetti che l’influenza, solo un po’ meno “cattiva” del Covid, comporta. Ora si parla di vaccinare il 50% degli operatori sanitari e bisognerebbe arrivare al 75% di anziani vaccinati, come richiede l’Oms. Oggi siamo al 50%.

È un problema di dosi vaccinali che mancano?
Assolutamente no.

Il 14 settembre riapriranno le scuole. È una data delicata?

Sarà un vero e proprio stress test, perché non c’è certezza su quel che succederà: in ballo ci sono 8 milioni di bambini e ragazzi e 2 milioni di operatori didattici. Contando genitori e parenti, la scuola coinvolge in pratica quasi la metà della popolazione italiana. È importante che lo Stato faccia il meglio possibile, anche se non sarà possibile fare tutto nell’immediato. Servirà un lavoro di responsabilità corale da parte di tutta la comunità scolastica.

Le misure più urgenti?

Distanziamento per quanto possibile, scaglionamento degli orari d’ingresso, norme di igiene. La temperatura misurata in classe invece è uno sforzo che non so quali risultati efficaci possa dare.

Il governo vorrebbe eseguire 300-400mila tamponi…

In questo momento il virus continua a circolare, ancora non si è ingentilito, ma gira poco, anche se si registra un incremento dei casi, e quindi non si vedono grosse problematiche. Paradossalmente più positivi si trovano, più si controllano e meno possono contagiare. Siamo in una situazione simile a quella di dicembre-inizio gennaio.

In che senso?

Allora molti asintomatici, che non sono stati intercettati, si sono sparpagliati per le province poi più duramente colpite, creando così una sorta di iceberg. L’epidemia è cominciata in modo sotterraneo e la dimensione coperta è diventata così grande che si è vista solo la quota emersa, percentualmente bassa ma rilevante in termini assoluti, dei sintomatici. Le indagini sierologiche del ministero hanno dimostrato che i soggetti positivi agli anticorpi erano sei volte tanto rispetto a quelli segnalati dalla Protezione civile. Con il lockdown abbiamo fatto sciogliere l’iceberg.

E oggi?

Tende a riformarsi, perché più contatti, più positivi. Ma rispetto a prima abbiamo la capacità di individuare gli asintomatici, che un tempo era sconosciuti, non rilevati.

Che vantaggi ne potremo avere rispetto alla prima ondata?

Questo carotaggio è la nostra fortuna e la nostra speranza, perché ci permetterà di tenere i focolai sotto controllo: avremo ancora numeri al rialzo, ma non con tendenza esponenziale. Oggi sappiamo quanto è “bastardo” questo Covid, proprio per l’alto numero di asintomatici.

A scuola, in presenza di uno o più casi sospetti di Covid, si isola la classe? Si chiude tutta la scuola?

Toccherà al Dipartimento di prevenzione, assieme a medici di medicina generale e pediatri, modulare il da farsi: didattica a distanza, isolamento della singola classe, quarantena per i parenti, chiusura della scuola.

Anche per i trasporti pubblici l’apertura delle scuole sarà il vero esame. Il tasso di riempimento dei mezzi pubblici all’80% è una misura sensata?

Quanto più basso è, tanto meglio è. Detto questo, bisogna trovare una mediazione dettata dal realismo, prevedendo qualcosa che sia ragionevole, fattibile e mantenibile nel tempo. Al di là dei numeri, valgono i comportamenti: mascherina, distanziamento, gel igienizzante.

Con la ripresa economica di settembre anche lo smart working potrebbe andare incontro a una minore diffusione. Che cosa succederà negli uffici?

Premesso che il lavoro agile è più gestibile e che più contatti significano maggiori rischi di infezione, occorrerà valutare nel tempo l’andamento di eventuali contagi e poi muoversi di conseguenza.

E le movide nelle grandi città? L’esperienza degli ultimi mesi che cosa ci ha insegnato?

Non è facile trovare soluzioni efficaci. Restringerle o bloccarle sarebbe peggio. Bisogna trovare il giusto mix tra procedure di buon senso e buon senso dei giovani.

Il 20 e 21 settembre gli italiani andranno al voto per il referendum sul taglio dei parlamentari e in sette regioni, per le elezioni amministrative. Rischi?

Ce ne sono, ma molto dipenderà dal contesto epidemiologico del territorio. Serviranno certo misure precauzionali.

Capitolo Rsa: avremo un secondo effetto harvesting?

La prima ondata aveva velocizzato e sincronizzato decessi che sarebbero avvenuti in tempi successivi, ma oggi la mortalità si sta riducendo. Le Rsa vanno monitorate con attenzione, anche se ora sono meglio attrezzate per gestire la loro permeabilità ai rischi esterni – presenza di volontari, visite dei parenti… – e il livello di sicurezza degli ospiti.

“In assenza di farmaci efficaci e ancora in assenza di un vaccino, sono importanti le misure di sorveglianza attiva”, ha detto il virologo Andrea Crisanti. Bastano i tamponi e i test che si stanno eseguendo?

La sorveglianza attiva è proprio quello che stiamo facendo. Se ne possono eseguire anche un po’ di più, ma con giudizio.

Uno studio italiano rivela che il coronavirus impiega in media 30 giorni dal primo tampone positivo per essere eliminato dall’organismo e la metà dei pazienti è ancora positiva dopo 30 giorni dalla diagnosi e 36 giorni dalla comparsa dei primi sintomi. Questo significa che bisogna rimodulare le regole per la quarantena e che va ripensato il meccanismo del doppio tampone negativo per stabilire se un paziente è guarito dal Covid?

Su questo manca ancora una chiarezza certa e totale.

Secondo il ministro Speranza le prime dosi per il vaccino saranno pronte entro il 2020. È un traguardo plausibile?

Si sa che ci sono studi avanzati, ma nella pratica la disponibilità, complessiva e reale, dei vaccini come minimo si verificherà non prima del primo semestre del prossimo anno. E bisognerà valutare se il vaccino sarà davvero efficace.

(Marco Biscella)

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