Il finanziere Pasquale Striano, al centro del caso dossieraggi, si difende in un’intervista alla Verità, in cui rivela di aver fatto 40mila accessi su ordine dei pm e ammette di non aver usato sempre metodi ortodossi. «È giusto che io sia attaccato in una maniera così spudorata, anche violando tutte le regole della privacy, persino da parte della Procura di Perugia che, posso assicurare, ha fatto molte cavolate?», si chiede. Per quanto riguarda la mole di accessi abusivi, il tenente della Guardia di Finanza precisa: «Io di segnalazioni di operazioni sospette non ne ho visionate 4.000, come dicono loro, ne ho visionate 40.000. Era il mio lavoro. Io ero una persona super professionale che acquisiva notizie a destra e a sinistra. Lo ammetto, anche con metodi non sempre ortodossi». Striano, però, non vuole passare per la persona che non è e vuol far valere le sue ragioni, visto che «loro (gli inquirenti, ndr) stanno inventando una marea di cose per amplificare una vicenda che invece è abbastanza ridicola». Il quotidiano precisa che Striano ha lavorato in base ai vecchi standard della Procura nazionale antimafia, che permettevano al suo gruppo di lavoro di accedere in maniera libera alle banche dati senza dover presentare richieste di autorizzazione.
In alcuni casi non venivano neppure compilate informative dopo gli accessi. Fino a pochi mesi fa, queste attività non avevano bisogno di nulla osti formali. «Il mio lavoro era quello di fare attività Antimafia e di farla bene. Di occuparmi di fenomeni che potevano essere calzanti: gli affari dietro al Covid, i bitcoin, i nigeriani. Ho fatto sempre ed esclusivamente questo», aggiunge Pasquale Striano. Anche sulla Direzione antimafia il finanziere ha le idee molto chiare: «Non ha motivo di esistere. Se la Dna fosse come la ha concepita Falcone, così come la Direzione investigativa antimafia per cui ho lavorato – e non sono uno che sputa nel piatto dove ha mangiato – allora sarebbe diverso. Ma purtroppo lì ci sono uomini che non sono più in grado di fare le indagini».
“LA LOTTA DI POTERE TRA I MAGISTRATI”
Riguardo l’ex procuratore Federico Cafiero de Raho, il finanziere al centro del caso dossieraggi alla Verità spiega che «alla Procura nazionale si è fatto tanti nemici e, secondo me, non ha svolto al meglio il suo compito». A proposito delle «mille criticità» che ha denunciato anche per iscritto, precisa che c’era anche chi non le voleva «mettere a posto determinate cose». Ma nell’intervista preferisce non soffermarsi su questo aspetto, anche perché è «un discorso molto complesso». Invece, sui dossier pre-investigativi importanti e le ricerche «appannaggio solo di Laudati», ciò avrebbe «creato invidie», non solo a livello interno, «perché lì a livello nazionale c’è un macello». Striano, infatti, racconta che nella Procura nazionale antimafia ogni magistrato aveva i suoi rapporti di fiducia nelle Direzioni distrettuali territoriali e c’erano veri e propri blocchi. «Per far approfondire i nostri filoni investigativi i magistrati si rivolgevano dove conoscevano, sceglievano le Dda con tale criterio e questo è un fatto un po’ scandaloso».
Striano cita anche il procuratore di Milano Francesco Greco per riferire una confidenza che gli sarebbe stata fatta: «Tante volte mi è stato detto che non poteva vedere Cafiero e che quindi le cose che mandavamo lì erano buttate nel cassetto. Io ho sempre ascoltato queste piccinerie, ma che potevo fare?». Infatti, Striano non accettava di non collaborare con piazze importanti come Milano o il Veneto. La descrizione che emerge dell’Antimafia dalle parole del finanziere è un apparato dove ognuno porta avanti i propri interessi, tanto da far passare in secondo piano la lotta alla mafia. «Purtroppo è così. Adesso mi è capitato questo casino e per questo mi dovrò difendere. Ma qui non ci sono fatti inquietanti, come sostengono gli inquirenti, le cose diventano tali in altre stanze, capito? Ma non mi riguardavano. Io tante cose le sentivo, ma non mi interessavano». Interessante anche il passaggio in cui Pasquale Striano evidenzia «la lotta tra i magistrati», non una novità in realtà. «Questo lo spiegherò in Procura e in Tribunale», si è limitato a dire il finanziere.
STRIANO “TANTE COSE MI SONO STATE CHIESTE…”
Per quanto riguarda politici e vip spiati, Pasquale Striano sostiene di aver fatto «tre o quattro appunti su Berlusconi» che gli «sono stati tutti chiesti. E non da giornalisti. Non li ho fatti perché ho letto gli articoli del Domani. Li ho realizzati perché me li chiedeva il procuratore». La Verità riferisce che il procuratore di cui parla il finanziere è soprattutto Laudati, ma in un caso è Melillo. Su richiesta di quest’ultimo, rivela Striano, ha verificato «perché le segnalazioni all’Antiriciclaggio non andassero a Reggio Calabria e io ho fatto un appunto e ho spiegato perché le cose andassero in quel modo. Io alcuni accessi li ho fatti anche per dare queste spiegazioni. Non temevo alcunché». Ma quel che ha scoperto preferisce non rivelarlo: «È una questione tecnica che spiegherò in aula. Il programma non funzionava bene. Non “comprendeva” bene, per esempio, chi fosse la moglie di Dell’Utri e non riuscivano ad associarla a Berlusconi. Invece io lo facevo perché conoscevo questi rapporti. Era proprio il software a essere sbagliato».
Per questo avrebbe suggerito a Melillo di rivedere tutto il sistema informatico. Comunque, il problema era Dell’Utri, non Berlusconi: «Però sappiamo tutti che Dell’Utri per trent’anni ha preso l’assegno mensile da Berlusconi». Pertanto, il dossier non è stato fatto in autonomia da Striano. «Ma ci sono tante cose che mi sono state chieste espressamente. Non mi metto a fare i conti della serva. Io spiegherò quale fosse il mio metodo. Poi il giudice, magari, mi dirà: “Non lo dovevi fare”. Allora io risponderò: “Ma io non dovevo chiedere un’autorizzazione a monte. E comunque i miei risultati arrivavano con questo metodo di lavoro”». Alla luce di ciò, Striano rivendica di avere la coscienza a posto, «poi che sia stato fatto tutto un po’ alla carlona, sono il primo a dirlo. Ma l’ho ammesso pure con Melillo. Il mio obiettivo era quello di arrivare a degli atti d’impulso, che fossero fatti bene. La mia gratificazione era solo quella».
“DIARIO NON ESISTE, AVEVO UN DOCUMENTO ELETTRONICO…”
Nell’intervista alla Verità il finanziere affronta anche il tema relativo al dossier sulla Lega. Quando gli viene fatto notare che il Carroccio lo starebbe cavalcando, lui replica: «E fateglielo cavalcare. Questi cavalcano sempre, però non cadono mai (ride, ndr). Anche se a me sinceramente non interessa che cadano». Anche in quel caso, comunque, gli approfondimenti «sono stati chiesti ufficialmente». L’input, spiega il finanziere, «arrivava dalla Banca d’Italia tramite delle omologhe straniere». Come l’Agenzia di informazione finanziaria di San Marino. Striano cita anche «la storia dell’ex sottosegretario Armando Siri», all’epoca accusato di corruzione in un’inchiesta dell’Antimafia, che poi non è approdata a nulla.
Per quanto riguarda il diario elettronico in cui ha inserito tutte le ricerche effettuate, aggiornato fino al novembre 2022 e a disposizione anche dei suoi vecchi colleghi che così non dovevano contattarlo ogni volta per sapere se aveva avviato attività specifiche, Striano smentisce di averlo portato in Procura. «Io non ho consegnato proprio nulla. Non esiste nessun diario, c’è un documento elettronico, che hanno anche i miei colleghi miei, su quello che facevo giorno per giorno». Se il documento sia stato sequestrato, sarebbe ancor più grave per il finanziere, «perché significherebbe che tu li sopra hai letto ciò che ho scritto su quanto fatto e non ne hai tenuto conto. Ma preferisco aspettare prima di accusare. Per me non ce l’hanno. Anche se una delle tesi che porterò avanti è che la Procura di Perugia ha voluto cercare solo ciò che le serviva per accusarmi e non quello che era utile a scagionarmi». Pur ammettendo «errori di leggerezza», Striano assicura di aver «fatto tutto per amor di giustizia».
STRIANO “QUALCOSA DI GROSSO DIETRO L’INCHIESTA…”
In merito all’origine dello scandalo dossieraggi, Pasquale Striano è convinto di essere stato colpito per motivi diversi dagli accessi. «Dietro a questa vicenda c’è qualcosa di più grosso. Qui stiamo parlando del mondo delle armi e l’attenzione su certi argomenti, dopo l’esplosione del mio caso, è subito calata. Perché non è solo una storia di bed and breakfast». Il riferimento è alla ragione sociale degli affari di Guido Crosetto con i fratelli Mangione, visto che il ministro continua a detenere le quote delle tre ditte. «Dietro a questa scelta c’è una precisa strategia. Se le cedi ammetti qualcosa… però, se rimani dentro, devi insistere sul fatto che c’è stato un altro problema, quello della diffusione dei redditi. In questo modo si è distolta l’attenzione e l’altra storia è andata in cavalleria», conclude Striano, descritto dal procuratore di Perugia Raffaele Cantone come l’autore di ricerche dai «numeri mostruosi e inquietanti».
D’altra parte, la Verità rimarca che dai pochi atti disponibili sulla vicenda si scopre che a volte le ricerche del finanziere arrivavano dopo la lettura dei giornali, da parte sua o da parte dei suoi diretti superiori, come nel caso del “dossier” su Silvio Berlusconi, le cui ricerche sono state fatte lo stesso giorno del servizio del 20 gennaio del Domani. Stesso discorso per Giuseppe Conte: le ricerche sarebbero state innescate da un articolo della Verità. Così pure è successo per le ricerche su Domenico Arcuri, Matteo Renzi, Lucio Presta, Fabrizio Centofanti, Piero Amara.