Il report segreto presentato al Cts e al Governo lo scorso 12 febbraio fa infuriare la polemica politica: dopo il disvelamento su Repubblica oggi, a commentare quello studio che parlava di morti e contagi in fortissimo numero (e per fortuna solo in parte confermato alla prova dei fatti) interviene il presidente emerito della Corte Costituzionale, Cesare Mirabelli. Raggiunto da Bechis per Formiche.net, il giurista spiega come lo stato d’emergenza indotto dal Premier Conte ad inizio 2020 «non è un passepartout»; non solo, secondo Mirabelli da quella ricerca «emergeva chiaramente il fabbisogno delle terapie intensive. Un’esigenza che è stata trascurata, e si poteva ricavare già dal divario fra Italia e altri Paesi europei, come la Germania». La trasparenza è un tema cardine di uno Stato, anche sotto l’emergenza sanitaria di una pandemia grave come quella del Covid-19: «Non solo la conoscenza, ma la conoscibilità delle informazioni e degli atti amministrativi di interesse generale, come questo, è uno degli elementi che concorrono a qualificare una democrazia. La non conoscenza degli atti era un principio cardine dello Stato autoritario». A chi replica sulla necessità di non scatenare il panico nella popolazione, Mirabelli replica contestando il documento secretato fino ad oggi «Se si prevede un’eruzione del Vesuvio, non se ne dà notizia anticipatamente per non diffondere il panico? Non si può considerare il popolo bue. Il panico, semmai, può derivare dall’assenza di trasparenza, da informazioni frammentate e inesatte, che riguardano la generalità».



STUDIO SU 65MILA MORTI PER COVID

Era il 12 febbraio 2020 quando il Governo aveva già in mano, ben prima della dichiarazione di zone rosse a Codogno e Vò Eugenaeo e soprattutto prima del lockdown nazionale, uno studio che certificava il rischio ecatombe per il Covid-19: quel documento segreto presentato al Comitato Tecnico Scientifico ad inizio febbraio venne poi presentato il 12/2 al Ministro della Salute Roberto Speranza e al Premier Giuseppe Conte. Si parlava di almeno 60mila morti per coronavirus con conseguenze enormi per il Paese sul profilo sanitario ed economico: quello stesso documento prodotto dal ricercatore Stefano Merler oggi viene svelato da Repubblica in un’inchiesta curata da Riccardo Luna. Lo studio presentato alle ore 9 di quel 12 febbraio, il primo giorno in cui venne dato il nome “Covid-19” alla poi futura pandemia da coronavirus che si sarebbe diffusa in tutto il mondo, era il fulcro della riunione del Cts: è rimasto segreto fino ad oggi e si intitolava «Scenari di diffusione di 2019-NCOV in Italia e impatto sul servizio sanitario, in caso il virus non possa essere contenuto localmente». Merler, 51enne della Fondazione Bruno Kessler, è un esperto di codici e modelli applicati alle pandemie e con il suo contributo aveva avvertito il Governo: dopo aver detto in una intervista a fine gennaio che il coronavirus non era una banale influenza («è una cosa serissima»), il Presidente Iss Silvio Brusaferro lo aveva invitato alla riunione segreta del Comitato il 5 febbraio e chiamato a produrre lo studio poi presentato nei suoi risultati il 12 febbraio.



IL DOPPIO SCENARIO IN MANO AL GOVERNO DAL 12 FEBBRAIO

I vari modelli presentati dallo studio Cts di Merler si basavano sull’indice R0 (l’indicatore del numero di contagi a partire da un infetto): i due scenari prevedevano R0 a 1.3 e 1.7 (oggi è sotto la soglia dell’1). Come spiega Repubblica, venuta in possesso di quello studio, nel primo scenario i casi i contagi in Italia sarebbero stati attorno al milione, nel secondo invece ben 2 milioni (oggi sono in tutto 266mila): lo studio Cts prevedeva che i casi gravi con cure ospedaliere arrivassero tra i 200 e i 400mila con necessità di letti da terapia intensiva tra i 60 e i 12mila. Secondo Merler nel momento di massimo picco del Covid ci sarebbero stati gravi gap di 10mila letti non presenti sul territorio nazionale: nelle avvertenze al Governo si guardava ovviamente anche alla possibilità di vittime che venivano calcolati tra i 35mila e i 60mila (ieri sono stati registrati in tutto dall’inizio della pandemia 35.472). Mentre Rep spiega di aver ottenuto il documento “segreto” dopo una iniziale richiesta del 13 maggio scorso, sono altri dati interessanti mostrati dal piano Cts: «dal 12 febbraio al 9 marzo, primo giorno del lockdown, il Governo cosa ha fatto?», chiede Riccardo Luna con le risposte ancora non pervenute. Si sa infatti che tre giorni dopo, il 15 febbraio 2020, il Governo ha fatto parere un carico di 18 tonnellate di Dpci da Brindisi verso la Cina: ma si chiede giustamente Repubblica «sapendo quei dati, abbiamo comprato mascherine, tamponi, predisposto protocolli di protezione del personale sanitario?». E infine, quando si è arrivati alla consapevolezza di una vera pandemia, «è possibile conoscerne il contenuto?». L’intento è perché, alla vigilia di una possibile seconda ondata, serve avere piani ma condivisi il più possibili e non secretati con possibilità di “svelamento” solo molti mesi più tardi.

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