Abdelilah Mounsabi, mediatore culturale, si dice “amareggiato” per lo stupro di Catania, dove sette giovani, tutti egiziani, hanno violentato una giovane. “Mi sento sconfitto, qui ha perso un intero sistema” ripete l’uomo. “Uno di quei ragazzi arrestati lo seguivo io. Era arrivato nella nostra comunità il 10 gennaio, gli avevo spiegato subito come avrebbe dovuto comportarsi. Ma la verità è che non basta il nostro impegno quotidiano, accompagnato da grande fatica. Ci vogliono più risorse e più mezzi per fare integrare davvero questi ragazzi” racconta a Repubblica. Dei sette giovani arrestati per lo stupro di gruppo, cinque sono maggiorenni e due minorenni: erano ospitati in quattro comunità di Catania e provincia.



Da giorni quel gruppo frequentava Villa Bellini, nel cuore di Catania, forse in cerca di una “preda”. “Mi sento sconfitto, non abbiamo compreso” dice ancora Mounsabi, operatore della comunità Iride.”Mi sono chiesto insistentemente in questi giorni: chissà cosa pensano questi giovani di una donna” spiega. Per l’imam di Catania, Keith Abdelhafid, “le generalizzazioni sono sempre pericolose. Un buon musulmano sa che la donna è sacra, va protetta e difesa sempre. Con la stessa devozione che i catanesi hanno verso Sant’Agata”. Secondo il religioso “è il gesto isolato di quei ragazzi arrestati. Piuttosto, è colpa della politica se non si riesce a far integrare davvero i giovani che arrivano in Italia. Non basta metterli dentro una comunità, bisogna poi che siano seguiti in modo attento e non siano lasciati soli davanti a un telefonino. Tutta la società deve farsi carico di questi ragazzi, che sono una risorsa per l’Italia“.



Mounsabi: “Dobbiamo integrare questi giovani”

Il report del “Sistema accoglienza e integrazione” dice in Italia sono stati 37.947 i “posti attivi assegnati ai vari centri d’accoglienza”: sono gestiti da comuni, province, consorzi e cooperative. Il peso maggiore è sulle spalle della Sicilia, dove al 31 dicembre sono stati assegnati 6.185 posti. “Talvolta la convivenza è davvero difficile fra i minori migranti” spiega un operatore, che chiede a Repubblica l’anonimato. “In una stessa realtà si trovano infatti giovani di diverse etnie e hanno spesso un atteggiamento conflittuale. Altre volte, non sembrano bastare le attività che facciamo, a partire dai corsi di italiano: questi ragazzi sono spesso in giro per le strade delle nostre città in cerca di un momento di inserimento, che non c’è. Loro stessi si sentono chiusi dentro un ghetto“.



Abdelilah Mounsabi, il mediatore culturale della comunità Iride, racconta ancora di essersi trovato davanti un altro dei ragazzi arrestati: “Mi ha detto in lacrime che faceva parte del gruppo rimasto a guardare lo stupro. È un ragazzo apparentemente normale, ma non si è assolutamente reso conto della gravità del gesto che stavano compiendo”. Nel gruppo c’era anche chi “aveva la puzza sotto al naso”, secondo Mounsabi: “Era l’ultimo arrivato, non gli andava bene che nella sua stanza ci fossero migranti tunisini. Diceva che erano sporchi e che facevano puzza. Una mentalità sconsiderata, che però va anche inserita in un disagio giovanile che è trasversale alle diverse culture”. Per gli operatori delle comunità, però, “non bisogna fare di tutta l’erba un fascio, non bisogna fare generalizzazioni. Il vero tema è cosa fa l’Italia per integrare questi giovani, anche e soprattutto per evitare derive terribili”.