È successo e non sarebbe dovuto accadere. Senza se e senza ma. Il rischio è ritenerlo un fatto che poteva succedere lì come altrove. Invece no. Di fronte alla violenza subita dalle due cuginette tredicenni di Caivano da parte di sei ragazzi, di cui uno solo maggiorenne, l’assuefazione non può e non deve avere il sopravvento. Anche perché, “Parco Verde”, il quartiere dove sono avvenuti i fatti, è noto per reiterati episodi brutali e quindi il “si sapeva che poteva accadere” non è mai giustificabile. Così come speriamo che la giustizia faccia il suo corso, visto che gli autori del delitto pare siano già stati individuati.
Tuttavia la questione non ha carattere “locale” (come i fatti di Palermo dimostrano) né è limitata ad alcuni ambiti sociali. Sicuramente realtà come quelle di Caivano interrogano in maniera particolare perché degrado e miseria sono fatali acceleratori di dinamiche che portano ad un decadimento umano prima che sociale.
Don Maurizio Patriciello, parroco del Parco Verde che vive da anni sotto scorta per le minacce subite dalla camorra, pur non nascondendo la tremenda realtà del suo quartiere (che secondo lui non avrebbe mai dovuto nascere), allarga lo spettro della questione: “se ci sono femminicidi, se ci sono casi di violenza brutale che avvengono sia in quartieri degradati sia in quelli più agiati, vuol dire che noi abbiamo sbagliato, abbiamo deciso di non educare”; di più, precisa: “Abbiamo abdicato alla fatica dell’educare”.
Don Patriciello coglie un aspetto “ontologico” (per usare un parolone): il male è democratico e “attraversa” ciascuno di noi, sia in qualità di soggetto attivo che come vittima. Cosa può arginare (mai eliminare, bisogna esserne consapevoli!) questo male? Giustamente, sottintende Patriciello, una educazione. Ma una educazione a cosa, a partire da quale fondamento, e, soprattutto, da parte di chi?
Troppo spesso delegata e limitata all’aspetto istituzionale e scolastico, la questione educativa, bisogna avere il coraggio di ammetterlo, è sfuggita di mano perché quelle domande non hanno risposta; peggio, non sono neanche poste. Tanto che spesso anche le famiglie, prime cellule educative, sul punto annaspano e procedono a vista.
I progetti, senza che siano ancorati ad un valore ideale, hanno il fiato corto. Ma quale può essere il valore ideale capace di resistere a contesti come quello di Parco Verde? Scommetto che a Caivano progetti scolastici sulla legalità ce ne saranno stati a iosa, con relativo dispendio di risorse. Evidentemente c’è bisogno di altro. Da dove pensare di poter partire (sia pure con tutte le verifiche del caso)?
Le domande, come si vede, si rilanciano e restano aperte. Le risposte (o meglio, i tentativi di risposta), forse sarebbero più facilmente rinvenibili se si guardasse alla propria esperienza. Ognuno di noi, nella propria vita, chi è stato disposto a seguire? Qualcuno che aveva una passione. La passione più attraente di tutti è quella per l’umano, non genericamente inteso, ma per la singola persona, con preciso nome e cognome. Questa passione attrae, forma, si trasmette e alla fine educa più di mille progetti e analisi sociologiche. Con una duplice avvertenza: che l’esito non è programmabile e, soprattutto, non calcolabile nel tempo.
Per questo a don Patriciello (non a caso un sacerdote), dobbiamo chiedere di continuare ad essere una presenza a Parco Verde e ci aspettiamo che dica: “se gli altri hanno abdicato alla fatica di educare, tra questi non ci sono io”.
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