Il caso dello stupro di gruppo avvenuto a Palermo ai danni di una 19enne, che vede indagati 7 giovani (uno dei quali minorenne all’epoca dei fatti che si sarebbero consumati tra il 6 e il 7 luglio scorsi), continua a far discutere e riflettere tra salotti televisivi, web e carta stampata. Il recente provvedimento di scarcerazione dell’unico minore del gruppo, diventato maggiorenne poco dopo l’accaduto, ha sollevato un’ondata di indignazione e interrogativi sul sistema giudiziaro italiano e sui riflessi di una decisione, quella del giudice per le indagini preliminari, che sarebbe mossa da una rilevata “resipiscenza” dell’indagato in sede di confessione. Una sorta di “ravvedimento” sulle proprie condotte che, secondo il parere di Roberta Bruzzone, sarebbe invece una lettura impossibile alla luce degli elementi finora emersi.
In una recente intervista rilasciata al quotidiano Il Tempo, la criminologa ha affrontato il caso di Palermo tratteggiando la psicologia e l’elaborazione degli eventi nella mente degli indagati, giovani che, sostiene Bruzzone, non si sarebbero affatto “ravveduti” e resterebbero ancorati a una lettura della vicenda totalmente distaccata dalla sua reale gravità. “Dicono che la ragazza era consenziente – ha sottolineato ancora Bruzzone –, ma le immagini parlano chiaro“. Nelle scorse ore, alcuni di loro sarebbero crollati in lacrime davanti agli inquirenti, lacrime che la criminologa non ritiene autentiche.
Stupro di Palermo, Roberta Bruzzone: “Minorenne scarcerato? Non sono d’accordo perché…”
“Questi ragazzi sono figli della loro epoca, prodotto di stereotipi di genere“. Lo ha detto a chiare lettere Roberta Bruzzone, intervistata da Il Tempo sul caso dello stupro di gruppo a Palermo, ricalcando i contorni di una vicenda tanto violenta quanto esposta alle luci perverse dei social. Un video della violenza, girato da uno degli indagati con uno smartphone, sarebbe oggetto di morbose ricerche in Rete e molti utenti, complici di un danno ulteriore di proporzioni incalcolabili, avrebbero tentato di visualizzarlo o acquisirlo online attraverso alcuni gruppi Telegram.
“Ciò che si nota – ha dichiarato la criminologa al quotidiano – è proprio la cultura del branco, dove ognuno prende un pezzo della preda e nessuno può tirarsi indietro“. Secondo Roberta Bruzzone, non ci sarebbe ombra di ravvedimento nella mente dei giovani indagati: sarebbero convinti di non aver commesso alcun reato, attribuendo addirittura alla vittima una condotta “provocatoria” e consenziente che contribuisce alla narrazione, tristemente vista e rivista, del “se l’è cercata“. “Dal loro punto di vista – ha precisato la criminologa –, una ragazza che è sola con 7 ragazzi se l’è cercata e le va fatto passare il capriccio. È una mentalità aberrante“. In merito alla scarcerazione di uno degli indagati, minorenne all’epoca dei fatti e diventato maggiorenne poco dopo, Roberta Bruzzone si dice contraria al provvedimento disposto dal gip (contro cui la Procura per i Minorenni avrebbe già annunciato ricorso). Il ragazzo, che per il giudice avrebbe mostrato segni di “resipiscenza” durante la sua confessione, è stato destinato ad una comunità. Bruzzone non concorda con la decisione: “A mio modo di vedere è stato un eccesso di generosità da parte del magistrato, ma il ragazzo meritava ben altro trattamento perché non si è pentito. Non ha compreso il disvalore di quanto ha commesso“.