Il gran finale è previsto per lunedì prossimo, ma gli ultimi episodi (la Convention di Los Angeles, il voto per il nuovo Presidente Usa e il funerale di Logan Roy) hanno già offerto uno squarcio straordinario sulla sagra della famiglia più potente d’America (chiaro il riferimento ai Murdoch) e su quella che sarà ricordata come la più grande serie tv sul mondo dell’informazione. Succession 4 ha completamente ripagato le attese. Era difficile replicare la forza e il successo delle tre stagioni precedenti, ma la quarta e ultima stagione – soprattutto dopo la morte improvvisa del capostipite – ha spinto la lotta per la “successione” oltre i limiti dell’immaginabile.



Solo lunedì sapremo chi dei tre figli coronerà il sogno di succedere al padre. Forse nessuno dei tre ci riuscirà veramente. Anche perché hanno dimostrato ampiamente di non essere all’altezza. Ed è molto probabile che alla fine il grande vecchio avrà avuto ragione anche da morto, e il suo impero finirà definitivamente nelle mani scelte da lui, o almeno in quelle di imprenditori sicuramente più capaci dei suoi figli.



All’inizio della quarta stagione la lotta per la successione è entrata in una fase insolita, con i tre fratelli che – umiliati ancora una volta dal padre-padrone – si sono alleati contro di lui e contro l’accordo siglato con Lukas Matsson, il giovane magnate svedese dei social media. Il patto tra Ken, Shiv e Roman diventa più solido quando all’improvviso Logan Roy muore e bisogna scegliere chi dovrà condurre in porto la trattativa. Ancora una volta, però, l’intesa tra i fratelli esploderà in una rissa quando i due maschi decidono di riprendere i comandi del gruppo e far saltare la vendita.



Per raggiungere questo obiettivo, Ken e Roman cercano appoggio tra i candidati alla presidenza nella campagna elettorale in corso, mettendo a disposizione l’enorme potere esercitato dalla loro rete televisiva. I due giovanotti senza principi non esitano a prestarsi a un’operazione di condizionamento dell’esito del voto a favore del candidato più di destra e fascistoide (ogni riferimento a Trump è chiaramente voluto). Shiv si ribella ai fratelli e si schiera – con una mossa ardita – al fianco dei democratici e dello stesso Matsson. Quando i due fratelli scoprono il tradimento della sorella, la rottura tra di loro è totale.

Quello che però appare chiaro a tutti è la sempre più evidente incapacità dei tre fratelli di poter gestire la transizione del gruppo. Ai funerale del padre, quando tutta l’America che conta è ai loro piedi, danno uno spettacolo indecoroso. Anche se a un certo punto scoprono di nutrire un affetto profondo nei confronti di quel genitore che sono arrivati a odiare.

La guerra tra di loro è giunta ora all’atto finale. Jeremy Strong, Kiera Culkin e, soprattutto, Sarah Snook, rispettivamente nei panni di Ken, Roman e Shiv, stavolta si superano, diventando i tre protagonisti indiscussi. Bravissimi e perfettamente nel ruolo di rampolli viziati che non immaginano neanche di sapere cos’è la vita normale. Sono lontani anni luce dai duri sacrifici che lo stesso padre – arrivato dall’Irlanda poverissimo – ha dovuto affrontare da giovane prima di diventare uno degli uomini più ricchi della terra. Ma la loro totale impreparazione rischia di diventare pericolosa, la temerarietà con cui gestiscono il loro potere li rende cinici, non si fanno scrupolo di usare il loro potere mediatico – ancora più dei soldi – senza alcun principio o rispetto per la democrazia.

Succession dunque si conclude lanciando un monito all’America e a tutto il mondo occidentale sullo stato della democrazia, di fronte all’inquietante intreccio tra il logoro potere dei media tradizionali e l’uso spregiudicato dei social. Infine, Succession è un appello accorato rivolto a chi può impedire la concentrazione in poche mani del controllo dell’informazione. Insomma, una vera e propria antologia e tanto materiale per tutti coloro vorranno occuparsi ancora di politica e comunicazione.

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