Non hanno bisogno di politica politicante i giovani meridionali che guardano alle proprie città come possibile destinazione del loro futuro, ma di prospettive a medio e lungo termine: di un orizzonte lontano e non della speranza che muore nel volgere di un mattino dentro la nebbia di promesse non mantenute. Questa, in ultima analisi, la conclusione del confronto tra nuove e meno nuove generazioni organizzato dal centro studi Srm di Intesa Sanpaolo e dalla Fondazione Matching Energies collegata al gruppo industriale Getra.



Uno scambio di informazioni e opinioni molto utile per comprendere le ragioni della fuga di promettenti risorse, la volontà o almeno di desiderio di poter spendere a casa il proprio talento, le preoccupazioni collegate al possibile rientro. Non c’è visibilità in Italia per chi voglia investire nel proprio Paese nonostante non si possa negare che qualcosa stia cambiando in meglio. Se fino a qualche anno fa la voglia di andare era senza ritorno, oggi si assiste sempre più spesso a tentativi di riconciliazione anche se spesso difficili e sofferti.



I numeri assoluti e relativi restano impietosi. Il tasso di disoccupazione nella fascia tra i 15 e i 34 anni sfiora il 24%: il doppio di quello che si registra al Centro e il triplo del Nord. Il dato dell’inoccupazione, di chi un lavoro non lo cerca più o non lo ha mai cercato, è altrettanto preoccupante: Esplode il fenomeno dei Neet: di chi non s’impegna nemmeno negli studi o nella formazione. Ogni anno a cercare fortuna altrove sono in centomila, un quinto dei quali scelgono l’estero come meta per la soddisfazione dei propri sogni.

Chi si afferma al di fuori dei confini nazionali esprime timori e giudizi molto negativi sulle condizioni cui dovrebbero sottostare se decidessero di fare marcia indietro: datori di lavoro con piglio padronale, sfruttamento negli orari, mancanza di riconoscimento del merito, assenza di stimoli alla crescita, difficoltà nei processi di promozione interna, paghe da fame, mancanza di welfare. Un quadro costruito su preoccupazioni che non rispondono più alla realtà dei fatti ma che condizionano fortemente le scelte.



Le eccezioni ci sono e ci sono sempre state. Vanno bene per i titoli dei giornali ma non si trasformano in un sistema in grado di invertire la tendenza. È vero che il Mezzogiorno, soprattutto in campo imprenditoriale, presenta campioni che non temono confronti a livello internazionale – come i risultati delle esportazioni dimostrano -, ma sono esempi rarefatti. Ancora pochi per formare quella massa critica che riesce a diventare forza di attrazione. Non si negano i successi, ma si guarda con maggiore apprensione agli insuccessi.

Chi però prova a rimboccarsi le maniche, chi accetta la sfida e il rischio, ammette che gli strumenti oggi disponibili sono sufficienti a garantire la possibilità di competere. Forse occorre dotarsi di un pizzico in più di coraggio e sviluppare il desiderio di misurarsi in un ambiente che sta cercando di cambiare come il numero delle start-up, in costante aumento, s’incarica di confermare. Incubatori e acceleratori stanno facendo il loro mestiere e i risultati cominciano a vedersi. Molti ostacoli persistono ma si sta cercando di rimuoverli.

Resta molto da fare nei campi dell’educazione e della formazione, vanno potenziate le infrastrutture fisiche e digitali, va garantita la sicurezza… Ma se passa il principio di guardare a quello che c’è o sta nascendo invece che puntare il dito contro quello che manca sarà possibile trasformare la grande energia culturale e creativa che circola soprattutto a Napoli in un punto di forza capace di trascinare l’economia locale verso vette che sembrano impensabili. Occorre rompere gli indugi e mettersi alla prova.

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