Questa settimana è venuto a mancare un grande imprenditore. Grande non per le dimensioni della sua azienda ma per il cuore. Che si è fermato a 90 anni dopo una vita piena e appassionata. Orazio Boccia si era fatto tutto da sé. E si era fatto bene se era riuscito a mettere in moto verso l’alto l’ascensore sociale in un Paese dove gli ascensori tendono ad andare in basso.



La gioventù trascorsa al Serraglio di Salerno (ben raccontata nel libro “Storia di uno scugnizzo”), i salti mortali per avviare una piccola attività tipografica mettendo a frutto le cose imparate in orfanotrofio, i primi lavori nel sottoscala, le commesse che arrivano e gli impianti che crescono conducono alla costituzione di quelle Arti Grafiche che portano il suo cognome. E che in più di sessant’anni di vita hanno rappresentato un punto di riferimento ineludibile per la comunità culturale, professionale e politica della Campania e dell’intero Mezzogiorno. Fior di scrittori e giornalisti si sono formati alla scuola di Orazio, generoso e burbero al punto e nel modo giusto. Sempre pronto a fare una lavata di testa, sempre pronto a rimediare con un sorriso.



Aveva imparato presto, e sulla sua pelle, quanta durezza possa riservare l’esistenza. Ma aveva anche capito che l’umanità è dotata di tale forza e volontà da poter rovesciare qualsiasi previsione. Da imprenditore di successo a Cavaliere del Lavoro il passo è ancora lungo. Ma lui l’ha compiuto con leggerezza, quasi senza intenzione, con la magia del racconto della sua storia.

L’eredità morale che lascia è molto impegnativa. A raccoglierla i due figli Vincenzo e Maurizio. Il primo, in particolare, dopo una lunga esperienza in Confindustria consumata fino al punto di diventarne Presidente, lavora con alacrità alla definizione di un nuovo posizionamento dell’impresa in un mondo e un mercato che consumano sempre meno carta e inchiostro.



Muoversi al passo coi tempi è nel Dna di un gruppo familiare che non si è mai spaventato di realizzare investimenti anche e forse soprattutto nei momenti difficili servendosi della tecnologia per mantenersi competitivo. L’esempio prima di tutto. E quello di Orazio era quello limpido di un capitano d’industria consapevole dei problemi e fiducioso nella loro risoluzione.

Se per riuscire negli intenti occorre credere in ciò che si fa, Orazio credeva fermamente. E così facendo motivava le persone intorno a lui facendogli sembrare i cavalloni una leggera increspatura del mare. Il coraggio non gli è mai mancato. E neanche la capacità d’infonderlo agli altri. I suoi collaboratori, i suoi operai, l’hanno amato come un padre ridendo e piangendo con lui.

Le Arti Grafiche Boccia non sono mai state un semplice insieme di macchinari ma hanno prima di tutto rappresentato un’idea, quella dell’impresa che illumina il territorio nel quale opera diventando un faro per i colleghi, i concittadini, soprattutto i giovani. La fabbrica dev’essere moderna dentro e bella fuori per il piacere di chi la abita, di chi la visita e di chi la guarda.

E si mette al servizio della società circostante allestendo, per esempio, una biblioteca frutto del lascito di un grande storico dell’economia come Valerio Castronuovo. Ventimila volumi la cui fruizione è libera, a disposizione della cittadinanza, perché la missione di chi sceglie il mestiere dello stampatore non è quella meccanica d’imprimere lastre e fogli, ma di tenere alta la fiaccola della cultura.

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