Ha pienamente ragione il Segretario generale della Cgil Maurizio Landini quando in una sua recente intervista ha dichiarato che “l’Italia senza industrie non ha futuro”. Un’affermazione che è in piena consonanza con l’impostazione del Piano strategico di sviluppo della Zes Unica, voluta dal Ministro Fitto che – dopo averne discusso a fondo con i tecnici incaricati di redigere il documento programmatorio – ha impartito loro precise linee guida per analisi e proposte che, partendo dalle evidenze statistiche riguardanti la robusta presenza dell’industria nell’Italia meridionale, ne valorizzassero le prospettive di crescita con indicazioni di dettaglio per i settori classificati come strategici non solo, si badi bene, per il tutto il Sud, ma per l’intero Paese.



Un’impostazione limpidamente industrialista, dunque, quella del Piano che persegue il duplice obiettivo, da un lato, di rafforzare l’apparato produttivo già esistente nelle singole regioni del Meridione e, dall’altro, di attrarre investimenti per l’insediamento di nuovi stabilimenti manifatturieri di grandi dimensioni. In proposito è bene ricordare che negli ultimi vent’anni nel Mezzogiorno non si sono più localizzate fabbriche da 500 addetti in su: in Puglia solo per citare una regione, l’ultima è stata quella dell’ex Alenia (ora Leonardo) a Grottaglie, giunta nello scorcio finale della legislatura regionale 2000-2005, allora guidata dal Presidente Raffaele Fitto.



Ci sembra opportuno ricordare ancora una volta che per l’importo del valore aggiunto del settore industriale (comprensivo del comparto edile), nel 2022 – ultimi dati ufficiali dell’Istat – Campania e Puglia si sono collocate in settima e ottava posizione nella graduatoria delle regioni italiane, con un’incidenza del 20% nella regione campana del valore aggiunto industriale sul valore totale delle attività economiche, e del 21% in Puglia sempre sul suo valore totale. Inoltre, l’incidenza del valore aggiunto industriale (sempre includendovi il comparto edile) sul totale in altre regioni del Sud era stata del 27% in Abruzzo, del 23% nel Molise e del 38% in Basilicata. Solo in Sicilia e Sardegna – che pure dispongono di apparati industriali non irrilevanti – l’incidenza percentuale del valore aggiunto industriale sui valori totali era stata del 15% nella prima regione e del 16% nella seconda.



Insomma, nel Sud si è in presenza ormai da molti anni sia di industrie capital intensive e sia di imprese labour intensive: siderurgia (non c’è solo il sito di Taranto, ma ve ne sono altri sia pure di minori dimensioni in Abruzzo, Campania, Basilicata e Sicilia); petrolchimica (le gigantesche raffinerie della Saras in Sardegna, della Isab e della Sonatrach a Priolo e Augusta nel siracusano, della Ram a Milazzo (ME), cui devono aggiungersi quelle di Taranto dell’Eni e di Gela, sempre della stessa holding, riconvertita quest’ultima a bioraffineria); impianti chimici di base con i cracking della Versalis di Priolo e Brindisi; centrali elettriche a turbogas a Brindisi, Modugno (BA), San Severo (FG), Candela (FG), Termoli (CB), e anche in Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna, oltre ai grandi parchi fotovoltaici ed eolici diffusi in tutte le regioni meridionali. I maggiori campi petroliferi on shore d’Europa sono in Basilicata a Viggiano in Val d’Agri (PZ) – ove estraggono Eni e Shell – e a Corleto Perticara (PZ) ove invece estraggono Total, Shell e Mitsui. Con il giacimento sottomarino di gas ArgoCassiopea nel canale di Sicilia – di cui proprio in questi giorni sono partiti i lavori per avviarne le estrazioni – l’Italia aumenterà del 50% le dotazioni di gas per il consumo sul mercato interno.

Il comparto automotive a sua volta registra la presenza dei grandi plant di assemblaggio di Pomigliano d’Arco (NA), San Nicola di Melfi (PZ) e di Atessa (CH), stabilimenti ove si producono auto e veicoli commerciali leggeri – senza dimenticare la DR Automobiles a Macchia di Isernia -, mentre imponenti fabbriche aeronautiche sono attive a Pomigliano d’Arco, Nola, Foggia e Grottaglie della Divisione aerostrutture del Gruppo Leonardo, e a Benevento e Brindisi della Divisione elicotteri dello stessa holding pubblica.

La navalmeccanica è presente con la Fincantieri a Castellammare di Stabia e Palermo, con il vasto Arsenale della Marina Militare a Taranto e quello minore di Augusta, con quello della Intermarine del Gruppo Immsi a Messina e con il cantiere della Saipem ad Arbatax in Sardegna.

Il ferroviario vede in esercizio i due grandi stabilimenti della Hitachi Rail Sts a Napoli e Reggio Calabria, della Firema a Caserta, della Mer.Mec a Monopoli e Santeramo in colle, della Tesmec a Monopoli, della Progresso e lavoro a Brindisi, oltre alle numerose officine di manutenzione di convogli e mezzi d’opera delle Ferrovie dello Stato, della NTV a Nola e di altre ferrovie in concessione in diverse città del Sud. Da segnalare inoltre nello stesso comparto le imprese di costruzione e manutenzione delle reti ferroviarie fra cui emergono da anni la Fersalento e la Armafer di Lecce.

Il farmaceutico ha suoi capisaldi produttivi nell’aquilano, nel Molise, a Bari, Ruvo e Brindisi, nel napoletano, nel catanese, mentre non mancano presenze, alcune anche di rilievo per il fatturato raggiunto, in Basilicata e in Sardegna. La meccanica varia è ben diffusa dall’Abruzzo alla Sardegna, e fra le numerose industrie di eccellenza annovera gli stabilimenti del Gruppo BHNuovo Pignone a Bari, Vibo Valentia e Casavatore, mentre grandi imprese impiantistiche come Irem, Walter Tosto, Sielte, Sicilsaldo, Comes, Cestaro Rossi & C., Tecnomec Engineering lavorano ormai anche all’estero da molti anni.

E poi in tutte le otto regioni meridionali sono presenti industrie agroalimentari, dell’Ict, del legno-mobilio, del tac, e della cartotecnica, comparti nei quali sono in esercizio siti di big player italiani ed esteri e cluster di Pmi locali, alcune delle quali ormai sono cresciute, per entità dei loro ricavi derivanti dall’export a tal punto da potersi considerare in alcuni casi multinazionali tascabili. Notevole, infine, negli ultimi 15 anni è stata anche nel Sud la crescita di aziende operanti nel comparto ecologico. In tutti i settori citati, le imprese capofila hanno generato supply chain di co e subforniture, sia in prossimità degli insediamenti maggiori e sia molto spesso anche a grande distanza dagli stessi.

È questo, appena sommariamente descritto, il vasto panorama industriale dell’Italia meridionale – analizzato molto più in profondità nei singoli capitoli del Piano strategico – che deve essere difeso con la sua occupazione, potenziato, ammodernato tecnologicamente, rafforzato sotto il profilo patrimoniale e ulteriormente irrobustito nelle sue proiezioni sui mercati esteri: un apparato industriale inserito ormai a pieno titolo in quello dell’Ue, e localizzato in un’area che può considerarsi un pontile attrezzato dell’Europa, proteso nel Mediterraneo.

Sono state queste dunque le linee guida di analisi e programmi settoriali che il Ministro Fitto ha voluto alla base della redazione del Piano strategico per lo sviluppo della Zes Unica – linee guida peraltro condivise e arricchite da tutti gli stakeholder consultati durante i numerosi incontri svoltisi nei mesi scorsi – e poi ratificate in cabina di regia alla presenza dei Ministri che la compongono, dei Presidenti delle Regioni e dei rappresentanti di Anci e Upi.

Ora, è del tutto evidente che, una volta diventato Dpcm il Piano, andrà presentato in road show sul territorio italiano e all’estero in confronti operativi, perché viva e venga attuato il più possibile nelle singole realtà del Sud, senza mai smarrire la visione sovraregionale d’insieme che lo caratterizza.

Ci sarà da lavorare moltissimo in questa direzione, ma sarà oltremodo stimolante farlo, pensando soprattutto alle giovani generazioni meridionali che dovranno essere le prime beneficiarie delle indicazioni programmatiche e soprattutto delle realizzazioni promosse dall’attuazione del Piano strategico.

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