Le statistiche sono molto utili perché aiutano a capire i fenomeni e la loro grandezza. Quelle dell’Istat relative alla crescita del Prodotto interno lordo (Pil) in Italia nei tre anni che vanno dal 2021 al 2023 non sfuggono naturalmente a questa considerazione e vanno usate con cautela per non cadere in qualche fraintendimento.
Che cosa dicono i numeri? Che la ricchezza del Paese ha avuto una crescita difforme a seconda dei territori e che in questa particolare classifica a essersi piazzato meglio è il Mezzogiorno che evidenzia un incremento dell’1,5% contro una media nazionale del 7%. Un balzo di oltre il doppio.
Devono essere felici le popolazioni meridionali? Beh, meglio che niente. Quindi, sì, siamo davanti a una buona notizia. Non tanto buona però da dover suscitare eccessiva soddisfazione, perché ai numeri relativi, le percentuali, si affiancano quelli assoluti. E questi raccontano una storia da non stare troppo allegri.
In termini di ricchezza individuale – pro capite come si dice in gergo – le cose stanno messe male con un valore annuale che nel Nord-Ovest, la parte del Paese che in questo caso se la passa meglio, è di 44.700 euro e al Sud precipita a meno di 24.000 euro. Il miglioramento che c’è stato nel 21-23 non modifica la distanza.
Quando la base di partenza è molto bassa – come nel caso del Mezzogiorno – basta un piccolo movimento in alto o in basso a fare la differenza. Se invece si parte da livelli alti – come al Nord – perché il fenomeno abbia evidenza occorre che il dato sia sensibilmente più alto. In caso contrario, inciderà poco.
Dunque, i meridionali continuano a essere poveri nonostante il balzo in avanti registrato nel recente passato (quasi certamente confermato nel 2024) e al Nord continuano a essere agiati nonostante abbiano migliorato la propria condizione di molto poco e a una velocità minore che nel resto del Paese.
Naturalmente le espressioni “poveri” e “agiati” vanno prese con le molle perché appare abbastanza condivisa la percezione che al Sud esista una larga fetta di economia non osservata che sfugge alle analisi degli studiosi che pure nel loro lavoro cercano di tenerne conto affiancandola nei calcoli a quella ufficiale.
C’è poi la vecchia storia, con qualche fondamento, che nelle città meridionali la vita sia meno cara che in quelle settentrionali con il suggerimento che si debba guardare al potere di acquisto più che alla pura e semplice disponibilità di soldi in tasca. Cento euro non hanno stesso peso sopra e sotto Roma.
Resta il fatto che in settantacinque anni di politiche pensate e attuate per consentire al Sud di agganciare il Nord la distanza tra le due economie resti così elevata. Tanto da aver suggerito all’Unione europea di riempire di soldi il Governo perché cerchi di risolvere l’imbarazzante problema con le misure del Pnrr.
Ciò che si vuole superare è la consuetudine di considerare alternative e non realmente aggiuntive le risorse di volta in volta destinate al Mezzogiorno con il risultato di non riuscire a provocare quella spinta forte e decisa necessaria a sollevare di molti e molti punti la sua capacità di produrre reddito.
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