L’attenzione del Governo per il Mezzogiorno è visibile e palpabile. Bene. Il ministro Mara Carfagna è riuscita a organizzare in collaborazione con Ambrosetti due giorni di confronto a Sorrento questo fine settimana e alla fine di giugno l’ex ministro Claudio De Vincenti replicherà a Maratea con la seconda edizione di Sud & Nord a cura dell’associazione Merita e della Fondazione Nitti.
In entrambi i casi è atteso l’intervento del premier Mario Draghi (a Sorrento anche del presidente della Repubblica Sergio Mattarella) a sottolineare la centralità del tema nell’Agenda di questo esecutivo che ha inserito nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) una riserva del 40% a favore del Meridione per gli investimenti a carattere territoriale.
Risolto, almeno sulla carta, il problema delle risorse resta da affrontare quello degli strumenti e degli obiettivi. I primi dovranno essere affinati attraverso una fitta serie di riforme che dovrebbero servire a far funzionare meglio la macchina statale in ogni suo ingranaggio dal centro alle periferie. È forse il compito più difficile, perché non c’è nulla più duro da abbattere che la resistenza delle burocrazie.
Sugli obiettivi si nota una confortante e condivisibile unicità d’intenti. Al centro della strategia di rilancio della parte povera del Paese ci sono la riscoperta del Mediterraneo e l’importanza della posizione geografica dirimpetto all’Africa. Quel ruolo di cerniera tra mondi che si guardano e scambiano ancora poco viene ampiamente riconosciuto e rilanciato con diverse ipotesi di azione.
Interessante anche il ruolo centrale da attribuire alle regioni meridionali nella produzione e trasmissione dell’energia derivante da fonti rinnovabili – in particolare sole e vento – che assume particolare rilevanza nella doppia sfida della difesa ambientale e del recupero di autonomia e sicurezza nell’alimentazione di imprese e famiglie messe particolarmente in difficoltà dalla guerra in Ucraina.
Le premesse per fare un buon lavoro ci sono tutte. Senonché esiste un tarlo capace di erodere propositi e progetti fin dalle fondamenta. Questo tarlo si chiama con brutto termine capitale umano. Più ambiziosi sono i traguardi e più raffinati i mezzi per raggiungerli, più ci sarebbe bisogno di persone in grado di usare i secondi per conquistare i primi. E qui l’impianto mostra qualche crepa.
Non si tratta soltanto e semplicemente (si fa per dire) di formare personale specializzato o manager di valore. Si tratta di prendere la buona abitudine di mettere la persona giusta al posto giusto. Sulla selezione degli uomini e delle donne cui affidare il destino della nazione c’è ancora molto da fare. L’appartenenza conta più della competenza. L’affiliazione più della competizione.
Soprattutto in politica – ma nelle organizzazioni rappresentative il quadro non cambia – si ricerca la fedeltà troppo spesso a prescindere dalla qualità. Ma la fedeltà è il sentimento del vassallo che non avendo altro modo per farsi compensare si appiattisce sulla linea del padrone (a questo punto ci vuole) salvo a tradire l’uno e l’altra quando il vento e il potere dovessero cambiare.
Andrebbe invece premiata la lealtà che presuppone una scelta libera e basata sul merito dalla quale può discendere anche un ragionato dissenso. Anzi, la forza della lealtà sta proprio nel non nascondere nulla al dante causa evitando che possa fare scelte sbagliate per mancanza o fallacità delle informazioni ricevute. Gli esempi, in questo caso, si affollano e sono sotto gli occhi di tutti.
La prima e più importante riforma per consentire di maneggiare con cura risorse e strumenti in funzione degli obiettivi che ci si dà sta proprio nei comportamenti del ceto dirigente – di chi ha il privilegio di prendere le decisioni – perché i fatti non smentiscano le parole. La rivoluzione del merito dovrebbe precedere tutte le altre se non si vuole allungare la teoria delle occasioni mancate.
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