Una cosa buona l’autonomia differenziata l’ha fatta, la migliore possibile: ha resuscitato il dibattito, il confronto, anche lo scontro, con un recupero di passione civica e politica che non si conosceva da molto tempo. Le acque si sono mosse. E dal fondo sono emerse pulsioni in grado di provocare azioni e reazioni che saranno utili a definire un nuovo rapporto tra Sud e Nord, una nuova governance nel Paese capace di tenere insieme le sue parti nel rispetto di un principio di unità al quale nessuno può e deve rinunciare.



La legge Spacca Italia, com’è stata battezzata dai suoi detrattori, sta generando molta energia in chi la propone e la difende con forza e in chi l’avversa e la contrasta in ogni modo lecito. Una forte mobilitazione tra i cittadini, non solo meridionali, ha consentito di raccogliere in pochissimo tempo le 500mila firme utili a chiedere il referendum per abrogare la norma sgradita e cinque Consigli regionali si sono già attivati per chiamare in causa la Consulta allo scopo di ottenere lo stesso obiettivo dell’annullamento.



Costituzionalisti, professionisti di vario genere, imprenditori, hanno ingaggiato una battaglia sulle idee e sui propositi – basata purtroppo sulla mancanza di fiducia e dunque alimentata dallo scetticismo sulla buona volontà degli altri – che viaggia sulle pagine dei giornali e nei tanti convegni che si stanno organizzando sul tema. Con base a Napoli è nata un’associazione molto combattiva, Testa al Sud, che si è da poco presentata al pubblico e si propone di vigilare sulle mosse dei “separatisti” denunciandone tutte le possibili insidie.

Il Mezzogiorno, che assume anche per questa via un nuovo protagonismo, nel frattempo non sta con le mani in mano e mostra segnali di vitalità non scontati. Dal Covid in poi si presenta come l’area della nazione che più è cresciuta contribuendo a raggiungere risultati lusinghieri nell’aumento del Pil e delle esportazioni. Non più vagone di coda – ha chiarito la Premier Giorgia Meloni all’assemblea di Confindustria -, ma locomotiva. Immagine forse ottimistica che definisce però bene il cambio di immagine e di percezione in atto.



Il Governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, ribadisce nei suoi interventi informati che il Sud potrà diventare centrale nelle dinamiche di sviluppo del Paese per le potenzialità che esprime – e che bisogna a tutti i costi liberare dalle catene di una burocrazia asfissiante – e per la posizione geografica che lo pone al centro del Mediterraneo, ponte tra l’Europa e quell’Africa a cui tutti guardano con interesse montante per i preziosi materiali che custodisce nel sottosuolo (ne sa qualcosa la Cina) e la carica esplosiva della sua economia.

Sempre Panetta auspica che l’uso intelligente delle tante risorse disponibili – da quelle del Pnrr a quelle del Piano di sviluppo e coesione – possa creare le condizioni per un riavvicinamento del Sud al Nord in termini di ricchezza pro capite. Un rapporto che se giungesse al 75% (oggi è circa al 50%) consentirebbe all’Italia di scavalcare la Francia nella classifica del Prodotto interno lordo. E sarebbe una risposta convincente ai tanti giovani che nonostante le belle prospettive continuano a cercare fortuna altrove.

Il fermento, le aspettative, le mosse e le contromosse messe in campo hanno bisogno di camminare sulle gambe di uomini e donne che sanno dove andare e come. Più interessante si fa la sfida, più si fa probabile il taglio di un traguardo, più c’è bisogno di chi sappia interpretare il segno del cambiamento. Per spostare davvero in fondo allo Stivale la frontiera dell’innovazione – che si tratti di energie rinnovabili o altro – non bastano le parole e le buone intenzioni. Bisogna passare ai fatti. E questi reclamano persone giuste al posto giusto.

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