Il dibattito sul Mezzogiorno che si è svolto nei giorni scorsi a Maratea per impulso dell’Associazione Merita e della Fondazione Nitti ha confermato molte considerazioni ormai condivise e acceso i riflettori su almeno tre novità che diventeranno presto palesi. Vediamo di cristallizzarle a beneficio dei lettori.



La prima evidenza è che il mondo dell’impresa è assai più avanti della politica. Niente di nuovo, si direbbe. Eppure, ad ascoltare i rappresentanti dei gruppi industriali intervenuti si fa fatica a credere che nonostante la pandemia e in piena guerra siano capaci di compiere i passi da gigante che li contraddistinguono.



I più avvertiti campioni dell’economia non aspettano le indicazioni del Governo nazionale o dell’Unione europea per rinnovarsi e investire in sostenibilità e trasformazione digitale, ma si muovono in autonomia rendendo possibile che il Paese conservi la seconda posizione come potenza manifatturiera d’Europa. Sanno come reinventare il proprio business modificando il quadro delle alleanze, accorciando le catene della fornitura, conquistando nuovi mercati. L’Italia che fa l’Italia, per prendere in prestito un fortunato slogan di Symbola, è più forte di qualsiasi crisi nonostante lo scetticismo di molti connazionali.



Il secondo punto venuto in rilievo riguarda l’energia come indiscutibile motore di sviluppo. Accanto alle famose quattro A che qualificano il sistema imprenditoriale meridionale – Automotive, Aerospazio, Agroalimentare, Abbigliamento – irrompe con forza il fattore E che porta con sé innumerevoli vantaggi.

Fare del Sud un vero e proprio hub per la produzione, lo stoccaggio e il passaggio di fonti energetiche verdi non solo riempie di contenuti la formula che lo vede nella favorevole posizione di cuore del Mediterraneo, ma contribuisce al raggiungimento degli obiettivi nazionali e comunitari in tema di sicurezza e autonomia.

Approfittando della naturale predisposizione di un territorio baciato dal sole e attraversato dal vento, della presenza di ottime università per la formazione dei giovani, della favorevole posizione geografica, l’opzione energetica s’impone nei fatti come i principali operatori del settore osservano da tempo.

La terza realtà che balza agli occhi è che a dispetto degli studi, delle risorse e degli strumenti messi a disposizione del Sud perché sia protagonista del suo riscatto permane una tale vischiosità nelle decisioni e nei comportamenti che il rischio di un ennesimo fallimento di sistema esiste tutto.

Il complesso delle leggi, delle regole, delle salvaguardie, delle interpretazioni, delle ribalderie – e chi più ne ha più ne metta – è tale da poter vanificare ogni sforzo. Come chi opera in Italia ben sa, e ancor più chi si muove nel Mezzogiorno, le forze della resistenza sono molto meglio attrezzate e vigorose di quelle del cambiamento.

La vera insidia sta proprio nella sconquassata governance che ci ritroviamo ad avere. Raramente si riesce a decidere qualcosa di davvero importante o definitivo e quando ciò accade quasi mai la decisione diventa operativa. Il tempo è una variabile indipendente che prende il secolo come unità di misura.

Questa difficoltà ad agire, questo premio all’indolenza che si unisce all’eccessiva responsabilità caricata sulle spalle dei pochi che invece vorrebbero darsi da fare – complice una magistratura inquirente troppo spesso avventata – costituiscono il principale ostacolo al raggiungimento di obiettivi alla nostra portata.

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