Con grande merito degli organizzatori, la 38esima edizione del Premio Sele d’Oro – che si svolge ogni anno a settembre nel comune cilentano di Oliveto Citra – dedica la sessione finale dei lavori alla figura e al pensiero del giornalista studioso politico Francesco Compagna, del quale si contano i quarant’anni dalla morte, avvenuta prematuramente e bruscamente nell’estate del 1982 mentre nuotava nel mare dell’amata Capri.
Fondatore nel 1954 di una delle più interessanti, utili e fortunate riviste italiane – l’indimenticabile “Nord e Sud” – Chinchino, come potevano chiamarlo gli amici, è stato l’iniziatore di un nuovo Meridionalismo che volesse togliersi di dosso la muffa dell’autocommiserazione pronta a corrompersi in uno sterile rivendicazionismo. Affascinava quel pensiero finalmente libero e liberale che chiamava al dovere e alla responsabilità.
La piccola borghesia del Mezzogiorno, via via affascinata dalla retorica della piccola patria defraudata, si rifugiava in quella che definiva la “bassa cultura” per distinguerla da quella “alta” che riconosceva in coloro che osavano alzare lo sguardo e riconoscere nell’Europa nascente il punto di riferimento ineludibile per progredire lungo la strada delle riforme necessarie. Un invito a sfuggire alla suggestione dei demagoghi di turno.
Contro quello che definiva “antimeridionalismo dei meridionali” ha dunque rivolto con metodo i suoi strali, individuando nella lontananza – non certo geografica – dall’Europa e i suoi valori uno dei peccati principali della sua terra e dei suoi tanti interpreti mediocri. Allievo di Benedetto Croce e tributario di Giustino Fortunato, usava la sua voce e la sua intelligenza per alimentare un confronto duro e rigoroso, ma rispettoso e mai volgare.
Nel metodo e nel merito ci manca la sua personalità di liberale attento ai problemi della società e militante nel Partito Repubblicano, dove faceva sponda con l’amico Ugo La Malfa, con il quale condivideva visioni e preoccupazioni. Espressione della più luminosa tradizione del pensiero napoletano – sapiente e pungente – che portava con orgoglio ai massimi livelli istituzionali attraverso incarichi di governo assolti con impegno.
Compagna ricercava, e allo stesso tempo s’ingegnava a formare, una classe dirigente meridionale all’altezza dei compiti difficili che i tempi assegnavano. Chi ha avuto la fortuna di averlo come interlocutore restava colpito dalla fermezza dei ragionamenti condotti con una gentilezza nei modi della quale si è persa la traccia. La sua lezione è più che mai attuale e chissà non serva rilanciarla nel momento critico che stiamo vivendo.
Istituzioni forti e largamente rappresentative sono il collante necessario a tenere unito un Paese ancora molto diviso al suo interno e con prospettive divergenti: da una parte, una pressante richiesta di autonomia nel presupposto che possa essere foriera di una maggiore crescita; dall’altra, istanze difensive rivolte a garantire un reddito a larghe fette di una popolazione che stenta a entrare nei circuiti produttivi.
Dare slancio alle energie sane, riconoscere il merito, premiare il valore, proteggere il bisogno, combattere il parassitismo sono tutte pratiche che andrebbero osservate nella costruzione di un sistema di regole da riconoscere e rispettare al di là degli aspetti formali, necessari ma non sufficienti.
Conservare e riformare sono due facce della stessa medaglia. Perché il progresso non sia uno slogan fine a se stesso, ma il naturale sviluppo della tradizione.
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