Indipendente dal 2011, staccatosi dal resto del Sudan, il Sud Sudan non ha mai trovato pace. Dal 2013 infatti è in corso un conflitto etnico tra l’etnia dinka (di cui il 75% sono cristiani) di cui fa parte il presidente, e quelle di etnia nuer (di religione animista) guidate dall’ex vicepresidente Machar. Un conflitto che non interessa a nessuna potenza occidentale in quanto nazione priva di significative risorse economiche. In questo contesto molti sono i gruppi criminali che approfittano della situazione per terrorizzare la popolazione. Secondo gli ultimi dati diffusi dalla Commissione per i diritti umani del Paese dell’Africa orientale, il 75% del paese è attraversato da brutali violenze. Il vescovo della diocesi di Tombura-Yambio, monsignor Edward Hiiboro Kussala, in questo periodo di Quaresima ha lanciato una appello affinché si faccia in modo di fermare la violenza, alla base degli omicidi, dice, “c’è la voglia di dirimere i contenziosi, scavalcando le autorità e la legge, che si somma alla cronica e crescente povertà di molti giovani”.



IL PERDONO UNICA STRADA PER LA PACE

Nel suo messaggio il vescovo richiama al perdono, unica strada per ottenere serenità: “Bisogna parlare con la gente, farle capire che percorrere la strada della violenza non risolve i problemi. E poi bisogna trovare il modo di far emergere la legalità: ora i criminali non vengono assicurati alla giustizia perché chi dovrebbe fermarli ha paura delle ripercussioni violente. Se vogliamo un Sud Sudan pacificato e prospero dobbiamo perdonarci, come insegna il Vangelo e la Chiesa”. Kussala è anche presidente di un gruppo interreligioso per portare al dialogo  le varie etnie, ma, dice ancora, non è un percorso facile “perché c’è tanta corruzione nel governo e la Chiesa non è ascoltata”. Ma ci sono anche buoni risultati, nonostante tutto: “La Chiesa sta incontrando tutti i leader dei partiti chiedendo loro di lavorare insieme per il bene di tutto il popolo. Con loro stiamo affrontando anche il problema della violenza tribale”.

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