Brasile o Spagna, Spagna o Brasile: queste le favorite al titolo. Poi, in subordine, Inghilterra, Argentina e Olanda. L’Italia? In pochi ci credono, a cominciare dal presidente federale Giancarlo Abete, capofila dei mondial-scettici. Ma alzi la mano chi avrebbe pensato la stessa cosa quattro anni or sono, tranne i 13 mila che comprarono il televisore da Media World, per poi ritrovarselo pagato dal successo azzurro nella finale di Berlino. Questo perché il calcio non è mai una scienza esatta, e lo è ancor meno in una manifestazione tutta particolare quale la Coppa del Mondo, in cui la convivenza, la crescita, la convinzione sono fattori che inesorabilmente incidono sull’equilibrio complessivo della manifestazione, al di là del peso specifico dei valori tecnici.
Come accadde nel 2006, per l’appunto. Marcello Lippi lo sa bene e, per questo, punta nuovamente tutto sul gruppo. Come in Germania, più che in Germania. Perché allora c’erano elementi di valore tecnico assoluto come Alessandro Nesta, Francesco Totti e Alessandro Del Piero. Vero che, per un motivo o per l’altro, non riuscirono a dare il massimo delle proprie qualità ma è altrettanto vero riuscirono a essere decisivi anche in frammenti di partita: ricordate il rigore di Totti all’Australia e il 2-0 di Del Piero alla Germania. E quando vennero meno loro, ci pensò il gruppo a compensare. Stavolta però è diverso perché, quando il gruppo non ci arriverà con la forza collettiva, non sarà possibile chiedere aiuto al campione per mancanza di materia prima: imposta da Lippi (le non convocazioni di Totti e Del Piero) o imposta a Lippi (l’autoesclusione di Nesta).
Il ct ribadisce che non importa e che non è vero che la squadra è vecchia resta però l’impressione di limiti più marcati non solo rispetto a corazzate come Brasile e Spagna ma anche a formazioni del nostro livello ma che possono schierare chi Messi, chi Sneijder, chi Lampard. Un’Italia, come ha fatto notare Emanuele Gamba su La Repubblica, in cui non c’è un solo giocatore che abbia disputato i quarti di finale di Champions League oppure l’atto conclusivo dell’Europa League: altre nove Nazionali sono in questa situazione, e si parla di di Corea del Nord, Algeria e Nuova Zelanda – giusto per fare tre nomi – non dei campioni del mondo.
Un dato che porta inesorabilmente alla luce la pochezza attuale del nostro calcio. Ma è dalla povertà che nascono le imprese più originali e incredibili, ed è questo su cui Lippi conta. Per viaggiare a fari spenti, lasciando agli altri l’onore e l’onere del ruolo, e per cullare il sogno di ripetere l’epopea tedesca, entrando così nella storia: due mondiali consecutivi come Vittorio Pozzo, unico a esserci riuscito quando il calcio era un altro sport.