E’ il giorno dell’Italia, è la serata delle prime risposte. Marcello Lippi parte per una missione dalle tre sfaccettature. Missione collettiva: bissare immediatamente il titolo vinto nel 2006 a Berlino, impresa che, nel passato, è riuscita unicamente proprio all’Italia (1934 e 1938) e al Brasile (1958 e 1962), altri tempi. Missione personale: raggiungere Vittorio Pozzo, unico selezionatore nella storia del calcio ad aver conquistato due coppe del mondo, per di più in fila all’altra. Missione impossibile: inserirsi nel gruppo di chi conta perché il valore delle favorite e quello degli azzurri paiono mondi lontanissimi.
Le grandi pronosticate, innanzitutto. Spagna e Brasile sembrano un passo avanti rispetto al gruppo: completezza, tecnica, qualità, risultati recenti ne fanno un duo pressoché inevitabile da considerare come naturale pretendente al titolo conclusivo. Un gradino più sotto si possono piazzare Inghilterra (ma quell’esordio contro gli Stati Uniti…) e Olanda, segue il resto con possibili sorprese. Perché non inserire l’Italia, allora? Perché arriva a quest’appuntamento ammaccata negli uomini (i guai fisici di Camoranesi e Iaquinta nel corso delle stagione, quelli attuali che affliggono De Rossi e Pirlo) e impoverita nel tasso tecnico.
Non ci sono più Totti e Del Piero, non sono stati considerati Cassano e Balotelli: il gruppo dà l’impressione di essere composto da onesti faticatori del pallone con qualche interprete che, decisivo in Germania, si ritrova con quattri anni e alcune cicatrici in più. Un po’ come accadde all’Italia di Enzo Bearzot nel 1986, quando visse un’anonima avventura in Messico dopo che venne data fiducia a un nutrito gruppo di reduci dalla Spagna e dopo che venne garantito spazio a indicazioni del campionato che, alla prova dei fatti, si rivelarono tutt’altro che sostanziose.
Anche quattro anni fa si partì a fari spenti come oggi, nel mezzo della tempesta Calciopoli. Ci aiutarono una crescita costante del gruppo, una difesa impenetrabile (autorete di Zaccardo e rigore di Zidane: neppure un gol preso su azione da avversario vero), un pizzico di fortuna (il rigore all’Australia, la non irresistibile Ucraina ai quarti) e il collasso di altre favorite quali Brasile e Argentina. Simili congiunzioni astrali fanno la fortuna di chi si ritrova campione del mondo: sognare è lecito, essere realisti un dovere. Il Paraguay, questa sera a Città del Capo, sarà il primo banco di prova. E di tutto rispetto.