Alla fine il pronostico è stato azzeccato: Spagna campione, con Vicente del Bosque a completare quanto avviato da Luis Aragones due anni fa con la conquista del titolo europeo a Vienna. Poco ha potuto l’Olanda, arrivata alla finale di Johannesburg sull’onda di quattordici vittorie consecutive, otto nel girone eliminatorio e sei in Sud Africa. Più squadra la Spagna, completa in ogni settore, e con un gioco dall’impronta precisa (grazie al blocco Barcellona), anche in una finale non bellissima e decisa ai supplementari. Ha vinto in virtù di un coraggio maggiore e di una predisposizione al calcio sublimata in elementi dalla grande tecnica, come Andres Iniesta, l’uomo che regala il primo titolo mondiale alle Furie Rosse. E senza dimenticare il contributo di Iker Casillas, uno che si è preso una sonora rivincita portando la Spagna in semifinale con il rigore parato a Barrios e chiudendo la porta ai rari tentativi olandesi, alla terza delusione mondiale dopo quelle del 1974 e del 1978.



Spagna che, dopo essere stata a digiuno per decenni, centra di corsa la doppietta Europeo-Mondiale riuscita solo alla Germania Ovest (1972 e 1974) e alla Francia (1998 e 2000, a titoli invertiti). Una squadra che ha un meraviglioso presente e un futuro da decrittare, visto che l’età media è giovane ma non giovanissima. Un dettaglio che conta poco, nella serata del trionfo. Basta soltanto tenerne conto, evitando l’errore che l’Italia commise quattro anni fa. Mondiale non bello. L’unica ad aver dato una sensazione di squadra (e con un potenziale interessante) è stata la Germania: per il gioco dato da Joaquim Low, per le capacità dei singoli, per la bravura nel saper fare sistema. Inguardabile il Brasile, che ha sacrificato sull’altare del gruppo le capacità del singolo, abiurando il sinonimo spettacolo-risultati che ne ha costituito la storia. Improponibile l’Argentina di Diego Maradona: troppo amico dei giocatori per poter essere allenatore vero, è stato ridicolizzato a livello tattico quando ha incontrato unì’avversaria vera come la Germania. Del Sud America da salvare l’Uruguay del maestro Oscar Tabarez: ci ha messo non solo il cuore, ma anche gioco e individualità interessanti. Su Italia e Francia stendiamo un velo pietoso: cacciate al primo turno, senza neanche centrare una vittoria, ed erano le finaliste di Berlino 2006. La ricostruzione sarà lunga per Cesare Prandelli e Laurent Blanc.



Tra i singoli è stato altrettanto clamoroso l’eclissarsi delle presunte stelle. Alzi la mano chi si ricorda una giocata di Kakà, Fernando Torres, Wayne Rooney e, soprattutto, Cristiano Ronaldo. Quest’ultimo, come a Euro 2008, ha clamorosamente toppato, più preoccupato di essere uomo copertina per abbigliamento e profumi che capitano di una squadra. Unicamente Leo Messi ha (molto) parzialmente invertito il trend, anche perché da solo non poteva ovviare a un gioco che l’Argentina non aveva. Ma occorre sottolineare come questi giocatori – idoli dei tifosi – sappiano essere leoni nei propri campionati salvo poi clamorosamente sfaldarsi a contatto con una realtà internazionale. A fronte del flop dei top, c’è stata invece la maturazione di chi vuole diventare una stella (Wesley Sneijder, per esempio), la scoperta di giovani di valore (i ragazzi della Germania, Fabio Coentrao del Portogallo, Kevin Prince Boateng del Ghana), la vetrina per chi più giovanissimo non è. E piace citare Arno Friedrich, ottimo centrale della Germania, retrocesso in patria (e all’ultimo posto) con l’Hertha Berlino. Come se Marcello Lippi avesse chiamato Fabio Galante e fosse arrivato terzo. Infine il Sud Africa.



 

Prima del Mondiale un unico coro a raccontare di città in preda alla violenza, di opere in ritardo, di stadi incompleti. La violenza ha toccato marginalmente l’evento, limitandosi a qualche furto e/o rapina ben al di sotto della media fisiologica sudafricana. Le opere in ritardo sono state completate magari in affanno, ma sono state completate. Per quanto riguarda gli stadi incompleti, vorremmo vederne anche in Italia di impianti così: comodi, funzionali, perfino belli. La gente, poi, ha vissuto l’evento come una festa, pensando alla coppa del Mondo come a un passo epocale, come lo fu il Mondiale di rugby nel 1995 per un primo tentativo di integrazione razziale dopo l’apartheid. E il Sud Africa – raccontano i primi studi del settore – ha già visto il pil gonfiarsi in maniera considerevole grazie al torneo, con la creazione di ricchezza e di posti di lavoro. Solo tra qualche tempo potremo dire se il calcio sia stato un bene strutturale per il Paese, ma i primi segnali sono più che positivi. E questo già basta.