Dopo trent’anni di dittatura militare in Sudan di Omar al-Bashir (sostenitore negli anni novanta di Bin Laden) decaduto l’11 aprile, il 17 agosto è stata firmata la Dichiarazione costituzionale dal generale Abdel Fattah el-Borhan -sostenuto da Emirati e Arabia Saudita – insieme al suo vice il generale Mohamed Hamdan Daglo con il rappresentante delle Forze per la libertà e il cambiamento, Ahmed al-Rabie, alla presenza del leader dell’Associazione dei professionisti sudanesi Mohammad Naji al-Assam, dichiarazione questa che è stata possibile grazie alla mediazione dell’Unione Europea, dell’Unione Africana e del premier etiope Abiy Ahmed.
Questo accordo prevede la creazione di un Consiglio costituito da 11 membri, sia civili che militari, che governerà il Sudan per i prossimi tre anni in attesa che vengano indette nuove elezioni. Per i primi 21 mesi il leader del Consiglio sarà un militare, mentre per i restanti 18 sarà un civile.
Tuttavia, questo accordo dovrebbe essere letto come una tregua momentanea e non come una soluzione definitiva, a causa di numerose e complesse ragioni, alcune delle quali legate alle dinamiche di potere interne, altre al ruolo che alcuni attori internazionali hanno giocato – e giocano – nel Sudan.
Per quanto riguarda le dinamiche conflittuali interne, in primo luogo dobbiamo tenere presente che nel consiglio supremo attuale vi sono alti ufficiali ampiamente collusi con il regime militare precedente. Proprio el-Borhan ha svolto un ruolo rilevante nella guerra yemenita a sostegno dei paesi arabi che lo hanno appoggiato come leader nel governo militare provvisorio. Quanto al generale Daglo, ha contribuito in modo decisivo a porre in essere le Forze di supporto rapido (Rsf), che ha comandato dal 2014, e ha strettamente collaborato con l’ex direttore Salha Abdallah Gosh del National Intelligence and Security Service (Niss).
In secondo luogo sia il Niss che le Forze di supporto rapido hanno svolto un ruolo determinate sia nel mantenimento del potere del regime militare, sia nella repressione interna. Infatti le Rsf, reparto di élite creato da Gosh – a capo dell’intelligence sudanese – assieme al generale luogotenente Daglo, divennero un efficace strumento di repressione interna nel Darfur. Inoltre il Niss è stato oggetto di durissime critiche a livello internazionale per la sistematica violazione dei diritti umani, violazione che ha posto in essere praticando torture, detenzioni arbitrarie e omicidi nei confronti degli oppositori del regime militare.
Se veramente si vuole attuare un autentico cambiamento democratico nel Sudan non solo queste due istituzioni militari – cioè il Niss e le Rsf -dovrebbero essere sottoposte ad una profonda trasformazione, ma lo stesso ruolo delle gerarchie militari dovrebbe essere ridimensionato in modo graduale ma profondo per evitare destabilizzazioni golpiste.
Vediamo adesso, seppure brevemente, di illustrare il ruolo che alcuni soggetti internazionali hanno svolto nella politica economica e militare del Sudan.
La Cina è sia un partner diplomatico di lunga data che un nuovo investitore in Africa dopo il relativo ritiro delle ex potenze coloniali. Gli interessi cinesi nel continente comprendono non solo le risorse naturali, ma anche questioni di commercio, sicurezza, diplomazia e soft power.
La Cina ha quattro interessi strategici generali in Africa. In primo luogo, desidera accedere alle risorse naturali, in particolare petrolio e gas. Si stima che entro il 2020 la Cina importerà più petrolio in tutto il mondo rispetto agli Stati Uniti. Per garantire le forniture future, la Cina sta investendo fortemente nei settori petroliferi in paesi come il Sudan, l’Angola e la Nigeria.
In secondo luogo, gli investimenti in Africa sono un enorme mercato per esportare i beni cinesi.
In terzo luogo, la Cina vuole legittimità politica. Infatti il governo cinese ritiene che il rafforzamento delle relazioni sino-africane contribuisca a rafforzare l’influenza internazionale della Cina e quindi a controbilanciare quelle europee o americane.
Per quanto riguarda il Sudan, la Repubblica Popolare Cinese è uno dei più importanti se non il più rilevante ed influente partner commerciale, e proprio per questo ha avuto – ed ha – una rilevante capacità di condizionare le scelte politiche sudanesi. Infatti la Cina ha investito in modo consistente sia nel nord che nel sud del paese, sia in infrastrutture petrolifere che in infrastrutture portuali e stradali; tutti investimenti volti a consentirle una più efficace penetrazione nel tessuto economico sudanese.
Da questo punto di vista non c’è dubbio che la compagnia di Stato petrolifera Chinese National Petroleum Corporation, presente in Sudan fin dal 1997, svolga un ruolo rilevante sia sul piano economico che politico. Non è certo un caso che proprio la Cina abbia offerto protezione a livello politico e diplomatico all’interno del consiglio di sicurezza dell’Onu, soprattutto perché dal punto di vista storico il 90% delle armi leggere che il Sudan ha acquistato a partire dal 2008 erano proprio vendute dalla Cina. Questa vendita di armi ha contribuito in modo rilevante a rendere più drammatica la guerra in Darfur, vendita di armi che è strettamente collegata a quella del petrolio: il Sudan infatti ha pagato le armi acquistate dalla Cina vendendo alla Cina il proprio petrolio. Inoltre la Cina nel corso del tempo ha fornito sia esperti militari sia ingegneri per addestrare gli ufficiali delle forze armate sudanesi.
Inoltre il Sudan si trova su uno snodo commerciale vitale tra Asia, Europa e Africa. La sua posizione geografica lo rende centrale per il successo della Belt and Road Initiative.
Un altro attore significativo dal punto di vista militare è stata l’Arabia Saudita. E infatti il Sudan ha sostenuto l’Arabia Saudita sia nel conflitto siriano che quello in quello yemenita. Inoltre l’Arabia Saudita ha posto in essere diverse esercitazioni congiunte con il Sudan sia nel contesto delle forze aeree che in quello navale. Tra gli obiettivi principali e comuni della politica estera di Riyad, come anche degli Emirati, c’è stato il contenimento dell’Iran in Africa orientale. Nello specifico, a partire dal 2015, le Rsf sudanesi furono uno strumento molto utile per l’Arabia Saudita, che in cambio ha finanziato per un miliardo di dollari il Sudan concedendo prestiti a tassi agevolati.
Quanti agli Emirati, nel corso degli anni sono riusciti a mettere sul loro libro paga funzionari statali e membri dei vertici militari investendo circa tre miliardi e mezzo di dollari.
Inoltre non dobbiamo dimenticare che sia l’Arabia Saudita che gli Emirati, insieme all’Egitto, hanno sostenuto il direttore del Niss Salha Abdallah Gosh.
Infine, l’Arabia Saudita, gli Emirati e il Qatar ritengono il Sudan fondamentale per quanto riguarda il settore agricolo, nel quale Doha ha investito 500 milioni di dollari.
Veniamo adesso al ruolo statunitense in Sudan. A partire dal novembre del 1997 l’amministrazione Clinton aveva imposto al Sudan sanzioni rilevanti perché il governo sudanese era accusato di sostenere il terrorismo internazionale. Grazie alla presidenza di Barack Obama una parte di queste sanzioni furono eliminate perché il Sudan aveva dato un contributo importante nella lotta contro la rete jihadista di Osama bin Laden.
Ebbene, proprio a tale proposito, la rilevanza della presenza americana in Sudan è certamente legata alla presenza dell’ufficio della Cia a Khartoum che è stato considerato fondamentale per contrastare sia al-Qaeda che l’Isis, nonostante l’accertata violazione – ampia e sistematica – della Niss verso gli oppositori del regime sudanese. Inoltre la Cia, quando ancora Gosh godeva di credibilità e autorevolezza, aveva visto in lui – come d’altra parte i paesi del Golfo, l’Egitto e Israele – l’uomo che sarebbe successo a Omar al-Bashir. Insomma la revoca delle sanzioni da parte americana è stata puramente strumentale, scelta che si è certamente rilevata efficace per contrastare la pericolosità e la capillarità del terrorismo internazionale di matrice islamica.
Anche la Russia ha avuto un ruolo rilevante nel supportare a livello militare il Sudan attraverso la vendita di Mig 29, Sukhoi Su-25 e 35. Tuttavia, a differenza della Cina, in Sudan la Russia, come in altri paesi africani, segue un modus operandi differente perché il suo supporto a livello militare si concretizza attraverso l’uso di compagnie mercenarie – come la compagnia Wagner – per sostenere e supportare le istituzioni militari. Inoltre, per quanto riguarda le risorse sudanesi, Mosca ha un interesse rilevante nello sfruttamento delle miniere d’oro del Darfur.
Ebbene, proprio alla luce di questa breve rassegna – necessariamente incompleta – un ruolo determinate nella transizione, sia a livello politico che economico, sarà giocato in modo diretto dai paesi arabi che hanno sostenuto la transizione e dalla Cina, che anche a causa della guerra economica con gli Usa non può permettersi di perdere la sua influenza economica.