FUGA DALLA GUERRA IN SUDAN: EVACUATI 150 ITALIANI DA KHARTOUM

«Dopo una giornata di trepidante attesa, tutti i nostri connazionali in Sudan che hanno chiesto di partire sono stati evacuati. Con loro ci sono anche cittadini stranieri. L’Italia non lascia nessuno indietro»: lo ha comunicato nella serata di domenica 23 aprile la Premier Giorgia Meloni con un messaggio apparso sul sito istituzionale di Palazzo Chigi. La furia della guerra civile in Sudan ha costretto tutte le principali potenze internazionali ad adoperare piani di evacuazione dalla capitale del Sudan Khartoum e da tutte le aree del Paese in guerra tra le forze fedeli al Presidente Abdel Fattah al-Burhan e l’esercito leale invece al vicepresidente, Mohamed Hamdan Dagalo (alias Hemedti) che guida i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf, Rapid Support Forces), con l’aiuto anche dei mercenari del Gruppo Wagner.



«Voglio ringraziare tutti coloro che hanno partecipato a questa operazione così difficile, in piena zona di combattimento, il mio plauso va al Ministro degli Esteri Antonio Tajani e all’Unità di crisi della Farnesina, al Ministro della Difesa Guido Crosetto, al Sottosegretario Alfredo Mantovano, al Capo di Stato Maggiore della Difesa, Giuseppe Cavo Dragone, al comandante del Covi, il Generale Francesco Paolo Figliuolo, al nostro ambasciatore in Sudan, Michele Tommasi, ai Servizi di Sicurezza. Voglio rinnovare anche in questa occasione il mio appello alla fine della guerra, all’apertura di un negoziato che conduca a un governo a trazione civile, il Sudan ha bisogno di pace», conclude il messaggio della Presidente del Consiglio. Dal vicepremier e Ministro degli Esteri Tajani viene poi spiegato che assieme ad alcuni cittadini italiani presenti in Sudan sono stati evacuati anche personale del Vaticano e della Svizzera. «I nostri connazionali sono stati contattati, anche durante la notte, dall’Unità di crisi del ministero. Chiamati uno per uno: stanno tutti bene e raggiungeranno la nostra ambasciata. Di più non posso dirvi per ragioni di sicurezza», sottolinea il n.2 di Forza Italia.



SUDAN, EMERGENZA UMANITARIA ENORME: CHIUSI 7 OSPEDALI SU 10 NELLE AREE DI GUERRA

L’emergenza è piena in Sudan ormai da settimane ma lo scontro acceso tra le due “fazioni” legate ai due opposti generali si è purtroppo innalzato solo in questi giorni: «Il 69% degli ospedali che si trovano nelle aree di conflitto in Sudan hanno sospeso i servizio e dei 79 nosocomi di base della capitale Khartoum e degli Stati federali coinvolti 55 non funzionano», denuncia il sindacato medico “Ccsd” sulla propria pagina Facebook. L’allarme è totale a livello umanitario, sanitario e sociale – oltre ovviamente che geopolitico, con schieramenti sostenuti da diverse potenze internazionali e locali.



Ancora 24 ospedali di queste aree in guerra sono «completamente o parzialmente operativi» ma il problema è che vengono costantemente «minacciati di chiusura a causa della mancanza di personale medico, forniture mediche, acqua ed elettricità», rileva ancora il sindacato sudanese. Da ultimo, sono dati scontri fra esercito e paramilitari da ormi 10 giorni con risultato di almeno «sei ambulanze attaccate e ad altre non è stato permesso di passare per trasportare i pazienti e prestare soccorso».

GUERRA IN SUDAN, COSA STA SUCCEDENDO ORA

Gli analisti citati oggi dal quotidiano britannico “The Observer” parlando di uno «scenario da incubo» in corso con la guerra in Sudan: «Da mesi Khalifa Haftar aiutava le Forze di sostegno rapido (Rsf) del generale golpista sudanese Mohamed Hamdan Dagalo, alias Hemedti, alla battaglia contro l’esercito di Abdel Fattah al-Burhan, presidente del Consiglio sovrano di transizione, esplosa il 15 aprile scorso in tutta la sua violenza», riporta l’Adnkronos citando le fonti militari dell’Observer. E così ad un anno e mezzo dal colpo di Stato del 2021, il Sudan ritorna nel caos con la guerra civile tra i due generali che si contendono il potere in questo momento.

Se prima Al-Burhan e Dagalo erano insieme nel Consiglio Sovrano che ha di fatto deposto il dittatore sanguinario Omar al-Bashir nel 2019, la spartizione del potere non è andata come previsto e fin da subito le divisioni interne sono ricominciate a generarsi: l’esercito governativo guidato da al-Burhan aveva dato parere positivo alla ripresa del processo di democratizzazione del Paese ma nei meandri del potere interno lo scontro con l’opposta fazione sempre più forte (perché appoggiata da larghe frange dell’esercito) è di fatto deflagrato negli ultimi mesi. Lo scontro sull’esercito unico ha poi fatto il resto: al-Burhan ha assicurato che si dimetterà e lascerà il potere solo quando verrà eletto un nuovo governo con elezioni; di contro, Dagalo appoggiato dalla Wagner rifiuta l’integrazione delle “sue” Rsf nell’esercito unico del Sudan. Lo scontro purtroppo è appena cominciato e le vittime restano alla fine sempre le stesse: popolazione e condizioni socio-economiche, sempre più ai minimi storici nel già funestato Sudan.